Urbs Salvia, l’antica città romana si mette in mostra lungo la Salaria Gallica insieme al borgo che è la sua continuità storica: Urbisaglia

Giovanni Bosi, Urbisaglia / Marche
E’ uno degli edifici romani più antichi di tutta la regione, sorto a ridosso della Salaria Gallica, la strada che univa Asculum, l’odierna Ascoli, ad Ancona. Siamo nelle Marche e il luogo che merita di essere esplorato è Urbs Salvia, la grande città del Piceno, colonia e municipio romano, vale dire l’attuale Urbisaglia. Che con il suo parco archeologico regionale esteso per una quarantina di ettari, conserva il serbatoio, il teatro, un edificio a nicchioni, il complesso tempio-criptoportico dedicato alla Salus Augusta e l’anfiteatro, fatto erigere intorno all’81 d.c. da Lucio Flavio Silva Nonio Basso, generale di Tito e conquistatore di Masada, l’inviolabile fortezza nella Giudea sud-orientale.
(TurismoItaliaNews) In realtà non ci solo vestigia romane da “scoprire” ad Urbisaglia, il borgo che domina la valle del Fiastra, cinta da mura, degna erede di quella lontana e gloriosa città romana di cui ritroviamo ricca testimonianza nel Parco archeologico, come tengono a dire nella cittadina. E fanno bene a tenere al loro passato quanto al loro presente.
Se l’area archeologica è espansa nella pianura, il paese sul Colle di San Biagio non è meno intrigante, a partire dalla possente Rocca di forma trapezoidale, costruita tra il tredicesimo e il quindicesimo secolo, con quattro torri e un mastio con merli ghibellini. E poi la Chiesa dell’Addolorata, con un portale di origine romana e affreschi del primo Cinquecento; la Collegiata di San Lorenzo (costruita tra il 1790 ed il 1812), il Sacrario ai caduti di tutte le guerre, il Museo delle armi e delle uniformi militari e il Museo archeologico statale. Percorrendo la statale 77 “Val di Chienti” tra Foligno, in Umbria, e Civitanova, nelle Marche, vale dunque lasciarsi conquistare da questo borgo e andare alla sua scoperta tra le dolci “colline pettinate”, come dicono di quelle marchigiane. Ovvero coltivate con una cura tale che ammaliano per la loro bellezza, in ogni stagione dell’anno. Anche perché da queste parti si producono, in tema di vini, il Rosso Piceno Doc, il Pecorino Doc, la Passerina Doc, il Verdicchio di Matelica Doc, il Marche Bianco Igt e il Marche Rosso Igt.
E poi c’è il tema dell’archeologia, che è un po’ il piatto forte di questo territorio, dove le testimonianze del passato costituiscono un valore aggiunto. La città romana di Pollentia-Urbs Salvia sorge nella media Valle del Fiastra occupando il pendio collinare che la protegge naturalmente a nord-ovest tra l’Entogge e il Fiastra. Sorta come fondazione coloniale nel II secolo a.C. con il nome di Pollentia, su un sito già abitato da una piccola comunità, è stata poi oggetto di un’imponente riorganizzazione urbanistica in età triumvirale-augustea, alla fine del I secolo a.C., quando cambia anche il nome di Urbs Salvia. “Il percorso di visita scende lungo il declivio della collina, attraverso un comodo tracciato di circa un chilometro. Si può così cogliere nella sua interezza la struttura della città romana, che digrada a partire dal colle di San Biagio fino a raggiungere, articolandosi in una serie di terrazzi naturali, il fondovalle pianeggiante, delimitato a est dalla scarpata sul fiume Fiastra” ci spiegano durante la visita al parco archeologico.
Qui c’è ancora molto da vedere, a partire dall’anfiteatro, autentica “chicca”, sorto a margine della Salaria Gallica: pensate che gli archeologi hanno calcolato che qui dentro potevano prendere posto circa 7.635 spettatori. Un luogo deputato a grandi spettacoli e particolari attrazioni, come i gladiatori. L’edificio ha una pianta ellittica ed è dotato di due ingressi principali a volta, a cui se ne aggiunge un terzo all’ingresso sud, di più piccole dimensioni, interpretato come porta libitinensis dalla quale venivano fatti uscire i gladiatori feriti o caduti nel corso del combattimenti. Muoversi in questi spazi, oggi delimitato da magnifiche querce dove una volta si trovavano gli spalti per il pubblico, fa piombare indietro nel tempo di un paio di millenni e sembra quasi di udire il vocìo degli spettatori eccitati dai combattimenti ai quali assistevano.
La cavea, ovvero le gradinate, era distinta in due settori da un corridoio; oggi si conserva per tutto il suo perimetro fino all’altezza del secondo ordine di gradini, al di sopra del quale doveva svilupparsi la summa cavea sorretta da un ampio porticato anulare, oggi scomparso, che conferiva all’edificio un aspetto monumentale. “Le basi dei pilastri che sorreggevano il porticato anulare sono ancora del tutto leggibili lungo tutto il perimetro dell’edificio – ci spiega la nostra guida - sul primo settore di gradinate si aprivano 12 corridoi con volte a botte, i cosiddetti vomitoria. Questi, secondo un sistema di distribuzione del pubblico molto semplice, consentivano l’ingresso di una grande quantità di spettatori che potevano raggiungere con facilità i posti loro destinati attraverso un sistema di scale e gradini interni. Scendendo, si poteva poi accedere ai prestigiosi livelli del podio che, direttamente affacciato sull’arena e diviso da questa da un semplice muro, era destinato, con circa 650 posti, alla cittadinanza e ai notabili locali; salendo invece, si potevano raggiungere le gradinate dell’ima e della media cavea”.
Alcune copie di una stessa iscrizione ricordano che l’edificio, costruito dopo l’81 d.C., era stato dono munifico alla città da parte dell'urbisalviense Flavio Silva Nonio Basso, generale di Tito nel corso delle guerre giudaiche e protagonista dell’assedio di Masada, la roccaforte della Giudea considerata prima di allora inespugnabile.
Non c’è comunque solo l’anfiteatro. Lungo il tratto della Salaria Gallica che divide la città longitudinalmente, sono situati alcuni monumenti funerari e il complesso tempio-criptoportico, con gli attigui edifici detti “delle Acque” e “del Pozzo”. Il complesso santuariale si affaccia verso l’area civile della piazza forense. In quest'ultima area, al di sotto delle strutture legate alla fase di rimonumentalizzazione di età augustea, è tornato alla luce un edificio di culto connesso all’abitato più antico di età graccana e caratterizzato da due ambienti paralleli affacciati su di un vestibolo.
Proseguendo lungo il pendio in direzione nord-ovest delle sostruzioni consentivano di realizzare una articolata serie di terrazze, la più imponente delle quali, ancora oggi conservata e visibile, è rappresentata dal cosiddetto “edificio a nicchioni”, fino ad arrivare alla terrazza occupata dal teatro e dalla sua porticus post scaenam che, in posizione elevata, si affacciava ad est, quasi a fronteggiare il complesso tempio-criptoportico. L'approvvigionamento idrico della città era assicurato da un capace serbatoio alimentato da un acquedotto del quale sono stati intercettati alcuni tratti.
La porta nord si trova all’estremità settentrionale del decumanus maximus (cioè la Salaria Gallica) ed era posta al fondo di un cortile di forma trapezoidale. “Tale disposizione – spiegano gli archeologi - consentiva una difesa molto efficace in quanto il nemico che avesse cercato di superare la porta poteva essere colpito non solo di fronte o dall’alto della cinta, ma anche dai due fianchi. Nei pressi della porta nord sorgono due monumenti funerari a torre, di cui resta però il solo nucleo nucleo cementizio”. Questi monumenti fiancheggiavano, al di fuori delle mura, il percorso stradale. In origine, oltre che contenere l’urna sacra con le ceneri del defunto, dovevano essere decorati da lastre di rivestimento ed arricchite da un'epigrafe che ne tramandava la memoria ai posteri.
Il colpo d’occhio è notevole osservano i resti che spuntano qua e là secondo un orgine ben preciso. L’antica città, che era racchiusa in una monumentale cinta muraria edificata in età augustea, era in posizione strategica essendosi sviluppata al crocevia tra la Salaria Gallica - proveniente da Asculum (Ascoli) e Falerio (Falerone) verso Ricina (Villa Potenza) ed Ancona e la strada che univa Septempeda (San Severino) a Firmum (Fermo). Nomi che evocano altri luoghi di grande interesse e sicuramente da visitare…
Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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