Matese: viaggio tra misteri, leggende e sapori nel Parco Nazionale più selvaggio del Sud

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Giuseppe Botti, Campania

C’è un momento, percorrendo la strada che sale da Piedimonte Matese verso le vette, in cui il tempo sembra rallentare. I boschi si fanno fitti, le curve sempre più strette, e l’aria comincia a profumare di muschio, legna bagnata e vento. Il Parco Nazionale del Matese appare così: silenzioso, austero, avvolto in un fascino antico che lo rende diverso da qualunque altro luogo dell’Appennino meridionale. Questo non è un semplice parco. È un santuario di storie. È la terra dove le leggende dei briganti si intrecciano con i canti dei pastori, dove i borghi arroccati custodiscono memorie secolari e dove la natura, ancora selvaggia, impone rispetto e contemplazione.

 

(TurismoItaliaNews) Il lago che non restituisce nulla. La prima tappa è il Lago del Matese, il più alto d’Italia, sospeso a oltre 1.000 metri d’altitudine. Lo trovi all’improvviso, nascosto tra i boschi, immobile come uno specchio. Ma dietro la sua calma apparente si cela un segreto: gli anziani di San Gregorio Matese raccontano che il lago “non restituisce nulla”. La leggenda narra che un tempo, durante una faida tra due famiglie rivali, alcuni pastori fuggirono gettandosi nelle sue acque profonde. Nessuno di loro riemerse mai. Da allora, il lago è diventato un luogo di mistero, teatro di storie sussurrate nelle sere d’inverno davanti al camino. Gli speleologi confermano che le sue profondità, collegate a un intricato sistema di cavità carsiche, sono talmente complesse che nessuno è mai riuscito a esplorarle completamente.

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Il Matese dei briganti e delle grotte

Se chiedi agli abitanti di Cusano Mutri, ti parleranno del Matese dei briganti. Qui, tra gole nascoste e sentieri impervi, si rifugiavano i ribelli dell’Ottocento, che sfuggivano ai soldati borbonici conoscendo ogni passaggio segreto della montagna. Uno dei più celebri fu Carmine Crocco, che usava come nascondiglio le Grotte di Caccaviola, un luogo oggi accessibile solo a piccoli gruppi di visitatori. Dentro, il buio è assoluto e il silenzio quasi sacro, interrotto solo dallo scroscio dell’acqua che scende da millenni. Camminare in questi luoghi è come attraversare due tempi paralleli: da un lato il presente, con guide naturalistiche e caschetti di protezione, dall’altro l’eco di uomini armati, notti passate accanto al fuoco e sogni di libertà mai sopiti.

I guardiani del Parco

Il Matese non è solo storie: è vita che resiste. Tra le faggete ultracentenarie si aggirano i lupi appenninici, simbolo del ritorno della natura selvaggia. “Li senti prima che li vedi”, racconta Mario, una delle guide storiche del parco, mentre indica alcune tracce lasciate nel fango. “A volte ululano in branco nelle notti d’inverno - dice con un sorriso - e chi vive qui non ha paura: è la voce della montagna che ricorda di essere viva”. Gli appassionati di birdwatching, invece, vengono per un altro motivo: l’aquila reale. Con un’apertura alare che sfiora i due metri, plana silenziosa sulle gole di Guardiaregia, dove la biodiversità raggiunge il suo apice. Vederla volare è un’esperienza che toglie il fiato: è come se il tempo, per un attimo, si fermasse.

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Borghi che raccontano storie

Tra le meraviglie del Matese ci sono anche i suoi borghi medievali. Passeggiando tra i vicoli in pietra di Pietraroja, potresti incontrare Antonio, un anziano pastore che custodisce un aneddoto incredibile. Fu proprio qui, nel 1981, che venne ritrovato “Ciro”, il fossile di un cucciolo di dinosauro vissuto 110 milioni di anni fa. Oggi è conservato nel Museo Paleontologico di Pietraroja ed è diventato uno dei simboli del parco. Non lontano, a Cusano Mutri, l’odore del tartufo nero invade le stradine durante la celebre Sagra del Tartufo, che richiama migliaia di visitatori ogni autunno. “Non è solo cibo”, ti spiega Giovanna, una giovane chef del posto, “è identità: ogni ricetta racconta la storia delle nostre montagne”.

Il sapore del Matese

Visitare il Matese significa anche assaggiare il Matese. Il caciocavallo podolico, stagionato nelle grotte naturali, ha un profumo intenso e inconfondibile. Gli gnocchi al tegamino di Statigliano, gratinati al forno con sugo di pomodoro e caciocavallo, sono una poesia di semplicità contadina. E poi ci sono i funghi porcini, i salumi di maiale nero, il miele di alta quota e il vino Pallagrello, un antico vitigno recuperato negli ultimi anni. Ogni prodotto è una storia, ogni sapore un ricordo da portare via.

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Un invito a perdersi

Il Matese non è un luogo da attraversare in fretta. È un’esperienza lenta, fatta di silenzi, incontri e cammini. Qui il turismo di massa non è arrivato, e forse non arriverà mai. Il parco chiede rispetto e restituisce emozioni. Ti insegna ad ascoltare il suono del vento tra le faggete, a riconoscere le erbe selvatiche, a distinguere l’eco di un lupo dal richiamo di un falco. Lasciarsi alle spalle il traffico e la frenesia significa entrare in un mondo parallelo, dove ogni sentiero è un invito, ogni borgo una storia, ogni boccone un ritorno alle radici. Perché il Matese non si visita: si vive, si respira, si ascolta. E quando te ne vai, sai già che tornerai.

 

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