Doc Vesuvio, il vino celebrato dagli antichi poeti latini è l’espressione più autentica del territorio

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Angelo Benedetti, Napoli

Lo hanno citato i poeti latini vissuti prima di Cristo, parlando dei prodotti della Campania Felix. Poseidone ed Efesto hanno tenuto a battesimo le prime bacche. Nettuno e Vulcano hanno visto scorrere  il nettare primitivo dalle pendici del Vesuvio fino al mare. Lo immortalano le pitture dell’Arario negli  scavi di  Pompei. Le sue caratteristiche sono state descritte dal bottigliere di papa  Farnese. Non c’è dubbio che i vini del Vesuvio siano straordinari per gusto, qualità e storia.

 

(TurismoItaliaNews) Bianco o rosso, rosato o spumante, Lacryma Christi o Caprettone, Piedirosso o Aglianico, i vigneti che crescono nell’area vesuviana assicurano straordinarie sensazioni al palato e all’olfatto. Una Doc ovviamente, la cui denominazione “Vesuvio” richiama e circoscrive immediatamente la zona di produzione: l’intero territorio dei comuni di Boscotrecase, Trecase e San Sebastiano al Vesuvio e parte dei comuni di Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Boscoreale, Torre Annunziata, Torre del Greco, Ercolano, Portici, Cercola, Massa di Somma, Pollena - Trocchia, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, tutti in provincia di Napoli. A fare la differenza sono i terreni su cui crescono le vigne: buona esposizione in declivio, di natura vulcanica e ricchi di potassio.

Che la viticoltura vesuviana sia antica, lo dimostra che tanti antichi poeti latini parlando dei prodotti della Campania Felix, raccontavano le preferenze che i Romani nutrivano per i vini del Vesuvio. Le antiche tradizioni enologiche dell’intera area vesuviana trovano origine con Aristotele (il filosofo greco vissuto fra il terzo ed il secondo secolo a.C.), il quale sostiene che i Tessali - antico popolo della Magna  Grecia - impiantarono le prime viti nella zona vesuviana allorché, nel quinto secolo a.C. si stabilirono in Campania. Fra i vitigni coltivati in questa zona hanno una loro origine storica sia il vitigno Coda di volpe che il Piedirosso (quest’ultimo, chiamato anche Palommina, veniva descritto da Plinio nella sua “Naturalis Historia”). Poseidone ed Efesto hanno tenuto a battesimo le prime bacche. Nettuno e Vulcano hanno visto scorrere il nettare primitivo dalle pendici del Vesuvio fino al mare. Gli dei greci prima e romani poi, del mare e del  fuoco, probabilmente sono stati i protettori, i numi tutelari dei  vitigni che affondano le radici nel cuore di una terra ribollente e allungano i loro tralci sulla costa tirrenica. Insomma i grandi bianchi baciati dal sole, i rossi annaffiati dalla lava  dello “sterminator vesevo”, non come appare oggi, ma quando era in piena attività.

Insomma una questione di archeologia, ma non solo evidentemente. Perché soprattutto i fattori naturali giocano un ruolo importante tenendo conto della presenza di due fulcri geologici di origine vulcanica fondamentali per comprendere l’origine, l’evoluzione e le caratteristiche della viticultura campana: il complesso Somma - Vesuvio e il sistema vulcanico dei Campi Flegrei. Proprio questi due nuclei rappresentano oggi gli ambienti ideali e più ricchi di varietà di viti e di tradizioni colturali associate. La  viticoltura attuale vesuviana comprende l’area che va dalle ultime falde fino a due terzi dell’altezza del Vesuvio. Le viti vesuviane sono coltivate in terreni che hanno una diversa giacitura, ricchi di declivi  naturali e ben esposti. Il territorio vitato è ripartito in due zone: quella comprendente l’Alto Colle Vesuviano oltre i 200 metri sul livello del mare, caratterizzata da terreni tutti più o meno in pendio;  l’altra è sul versante sud-orientale del Vesuvio, i cui terreni sono rivolti verso il mare.

Archeologia e natura, ma non si può dimenticare il fattore umano: l’areale del Lacryma Christi ha una  dimensione pittoresca, caratterizzata dai toni verdi dell’Appennino Campano fino all’azzurro mare Tirreno. In questa cornice domina la selvaggia bellezza del Vesuvio, cratere attivo di antichissima origine, da sempre conosciuto per sapori e aromi dei suoi vini, come testimoniano anche le pitture dell’Arario negli scavi di Pompei. Il Lacryma Christi del Vesuvio è il più famoso ed è tra quelli più citati nella letteratura enologica. Un vino circondato dalle numerose leggende: si narra che un pezzo di Paradiso precipitò nel golfo di Napoli quando Lucifero fu scacciato. Cristo, addolorato per la perdita di colui che era stato l’angelo più buono, pianse. Là dove caddero le sue lacrime, nacquero delle viti il cui  vino si chiamò appunto Lacryma Christi. Ma non è la sola leggenda: si narra infatti che Cristo, in una delle sue discese sulla Terra, per ringraziare un eremita redento gli trasformò una imbevibile bevanda in vino eccellentissimo.

I vitigni che costituiscono questo vino sono detti “di fuoco”, celebrati da Plinio il Vecchio e accreditati in età moderna tra i vini più prestigiosi d’Italia. Esempi di apprezzamenti sulle caratteristiche qualitative di questo vino sono state descritte dal bottigliere di papa Farnese, Sante Lancerio, che si preoccupava di controllare tutte le bottiglie che i nobili e potenti donavano al Pontefice.

 

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