"Hotel Hilton", nella prigione di Hoa Lo per rileggere la storia della guerra nel Vietnam
Giovanni Bosi, Hanoi / Vietnam
Gli americani lo chiamavano Hotel Hilton, ma era un paradosso. In realtà non si trattava di un albergo lussuoso, ma più semplicemente era il carcere nel quale venivano rinchiusi i piloti abbattuti durante l’assurda guerra contro il Vietnam. Prima ancora era stato usato dai francesi che avevano occupato il Paese asiatico per detenere i prigionieri politici. Ad Hanoi è irrinunciabile una visita a questo luogo carico di storia. Siamo andati a vederlo.
(TurismoItaliaNews) Si chiama Hoa Lo ed oggi è un museo che documenta l’assurdità della guerra. Per i vietnamiti un documento storico vivente, non senza qualche retorica politica, ma anche un modo efficace per dimostrare come loro stessi venivano trattati senza pietà durante l’occupazione francese. A ben guardare questo Paese – oggi mite e amico del mondo – nella sua storia ha sempre dovuto difendersi dagli altri. Negli anni Novanta buona parte dell’“Hotel Hilton” è stato abbattuto per lasciare spazio a nuovi interventi edilizi, ma la parte centrale è rimasta in piedi e classificata dal governo come sito di interesse culturale, diventando meta turistica e luogo di ricerca.
Siamo al numero 1 di Hoa Lo Street, in Tran Hung Dao Ward: quando si varca il portone, le suggestioni sono tantissime ed è inevitabile pensare a quanti hanno sofferto là dentro. A partire proprio dai vietnamiti. Hoa Lo è stata costruita dai colonialisti francesi nel 1896 per contenere migliaia di combattenti patriottici e rivoluzionari vietnamiti, poi dopo il 10 ottobre 1954, cioè dopo la liberazione del Vietnam del Nord, lo Stato l’ha impiegata come prigione per i criminali. Ma dal 5 agosto 1964 al 29 marzo 1973 una parte è stata utilizzata per rinchiudere i piloti americani catturati. Due storie dunque, documentate insieme alle celle con reperti, documenti e fotografie. E nel caso degli americani con la volontà di dimostrare al mondo che quei prigionieri erano trattati bene, persino senza rinunciare al basket. C’è pure la tuta di volo del maggiore John Sidney McCain, senatore dell'Arizona dal 1987 e candidato alla presidenza degli Stati Uniti nel 2008: nell'ottobre 1967, mentre era in missione sopra Hanoi, il suo aereo fu abbattuto e lui, ferito, fu catturato dai nordvietnamiti rimanendo prigioniero sino al 1973.
Probabilmente i reperti più crudi sono quelli dell’occupazione francese: “Nel corso di quasi un secolo, fra il 1858 e il 1954, la vita di un vietnamita era estremamente dura e infelice – si sottolinea - carenza di cibo e vestiti, la separazione della famiglia. Non essendo rassegnati a perdere il Paese e di essere ridotti in schiavitù, i vietnamiti si levarono contro colonialisti francesi riacquistando l'indipendenza nazionale e la sovranità. Alla fine del XIX e XX secolo, per spazzare via i crescenti movimenti dei vietnamiti, i colonialisti francesi esercitarono una fortemente oppressione, uccidendo e arrestando patrioti”. Venivano costruite più carceri che scuole e oggi questi edifici con architettura in stile francese sono stati mantenuti intatti. Hoa Lo è stata una delle più grandi e più solide prigioni in Indocina. Basti pensare che è stata costruita con un’attenta selezione di materiali da parte dei francesi: tutto - dal metallo al vetro, dalle attrezzature a serrature e cerniere - è stati importato dalla Francia con la migliore qualità e controllato rigorosamente prima della costruzione. Era stata soprannominata “inferno sulla terra” nel centro di Hanoi. Le mura che circondavano la prigione erano realizzate con pietre, alte 4 metri e con uno spessore di 50 centimetri; la parte superiore delle pareti era cosparsa di vetri taglienti e cablata con rete elettrica ad alta tensione per impedire ai detenuti di evadere. E tra le mura non mancava la tortura.
Nelle celle di piccole dimensioni e areazione limitata, il pavimento era costruito in modo che la testa dei prigionieri sdraiati, incatenati per tutto il giorno, era in posizione più bassa rispetto alle gambe. E poi c’era il braccio della morte. Dopo la vittoria di Dien Bien Phu (il 7 maggio 1954) i francesi sono stati obbligati a firmare gli accordi di Ginevra e il ripristino della pace in Indocina. Per effettuare lo scambio dei prigionieri di guerra, i due governi hanno messo a punto un piano per la liberazione dei prigionieri di Hoa Lo, più volte violato per negare la libertà soprattutto agli oppositori politici. E’ il 5 agosto 1964 (e fino al 29 marzo 1973) che comincia la terza vita di Hoa Lo, dopo la fase di reclusorio per delinquenti comuni. Da quando è iniziata la guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam del Nord e fino alle 7 del mattino del 30 dicembre 1972, quando gli Usa hanno dichiarato la fine dei bombardamenti a nord del 20° parallelo, sono stati uccisi e catturati centinaia di esperti piloti americani.
La visita “Hotel Hilton” diventa dunque l’occasione per la lettura della storia dall’altro punto di vista: “Durante la guerra in Vietnam – si racconta - quando la gente doveva affrontare quotidianamente tante difficoltà, i piloti degli Stati Uniti prigionieri di guerra sono stati trattati con umanità da parte del governo vietnamita, che ha dato loro le migliori condizioni di vita possibili. Ai piloti americani a Hoa Lo sono stati dati effetti personali sufficienti, tra cui le più piccole cose per soddisfare le loro esigenze quotidiane. Sono state create condizioni favorevoli per l'intrattenimento, come attività culturali e sportive, il gioco degli scacchi, la voce di Radio Vietnam in inglese, la visione di film e l'ascolto della musica. Sono state organizzate per loro feste di Capodanno, quali erano impossibili per i vietnamiti in quel momento”. Propaganda? Probabilmente sì, ma è ben noto come in tutto il mondo in quel momento tanti giovani scendevano in piazza contro la guerra nel Vietnam.
E oggi? I vietnamiti sono orgogliosi della loro storia e impressiona capire come nella gente non ci siano sentimenti di vendetta: la stessa America oggi è un partner e ad Hanoi si tiene a ribadire come il Paese voglia essere amico del mondo intero. E su questo c’è sicuramente da crederci.
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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
(A.F.)