“Vite di corsa: La bicicletta e i fotografi di Magnum da Robert Capa a Alex Majoli”: un’originale mostra a Castel Caldes

Giovanni Bosi, Castel Caldes / Trentino
Non solo sport, non solo gara, non solo agonismo. In effetti nell’immaginario collettivo il ciclismo è molto di più. E’ sacrificio, è coinvolgimento, è fare squadra, è aggregazione. E da sempre per gli appassionati c’è un beniamino da seguire. Era così in passato, è ancora oggi così. La bicicletta unisce, fa sognare, fa viaggiare. Anche con il pensiero. La bella mostra allestita a Castel Caldes fino al 26 settembre è una documentazione tangibile di tutto questo. Perché da vedere ci sono nientemeno che le foto dei grandi fotografi dell’agenzia Magnum, da Robert Capa ad Alex Majoli. E non è poco…
(TurismoItaliaNews) Già la cornice merita una visita da autentici curiosi: Castel Caldes. Siamo in Trentino, in Val di Sole, nel paese circondato da meleti e frutteti, a 700 metri di altitudine. Qui svetta il delizioso maniero recuperato al meglio, eretto nel 1230 e teatro di antiche leggende. Il luogo adatto per parlare di altre leggende: quelle del ciclismo. “Vite di corsa: La bicicletta e i fotografi di Magnum da Robert Capa a Alex Majoli” è il titolo della mostra curata da Marco Minuz che propone da un osservatorio insolito il punto di vista di osservatori speciali, ovvero i celebri fotografi di Magnum. “Il progetto vuole indagare, attraverso lo sguardo dei fotografi della famosa agenzia la dimensione umana di uno degli sport più seguiti dal grande pubblico – ci spiega Marco Minuz - scegliere la sensibilità degli autori di Magnum permette di andare oltre alle gesta sportive, e porre l’attenzione sulle alchimie del ciclismo, l’unico sport, come ripeteva Gianni Mura, dove «chi fugge non è un vigliacco»”.
Insomma una sorta di dietro le quinte, immagini difficilmente finite sui giornali per documentare gli esiti sportivi, con protagonisti e spettatori che diventano un tutt’uno, trasferendo a chi le guarda le emozioni vissute in quei momenti. Dalla serie di fotografie realizzate da Robert Capa nel 1939 quando venne incaricato dalla rivista «Match» di seguire il Tour de France di quell’anno, a quelle realizzate da Guy Le Querrec nel Tour de France del 1954, e poi le fotografie di Christopher Anderson dedicate al ciclista Lance Amstrong nel 2004 che suggeriscono il triste epilogo della carriera di questo sportivo per doping, un'intera sezione dedicata agli spettatori, le immagini firmate dal fotografo francese Harry Gruyaert nel Tour del 1982 e una sezione dedicata ai velodromi, con scatti di René Burri, Stuart Franklin e Raymond Depardon.
Il fotografo italiano Alex Majoli è presente con delle fotografie dedicate al celebre produttore di bici milanese Alberto Masi con sede del suo laboratorio sotto le curve del Velodromo Vigorelli ed infine una selezione di immagini di Peter Marlow dedicate a frammenti di quotidianità dei corridori impegnati nel giro della Bretagna nel 2003. L’uso prevalente del bianco e nero asseconda la concentrazione sui dettagli, del resto la tecnica era più diffusa tenuto conto che i maggiori fruitori erano all’epoca i giornali.
“Queste fotografie d’autore esplorano la dimensione umana di questa pratica sportiva che fa del ciclismo uno degli sport più popolari e amati – aggiunge Marco Minuz - le fotografie esposte raccontano le epopee dei campioni e delle grandi manifestazioni internazionali, come il Tour de France, ma anche la quotidiana umanità di campioni e del grande pubblico che ai bordi delle strade e al traguardo li sostiene, immedesimandosi con loro e con il loro impegno. Sudore, fango, tenacia, imprese di uomini che macinano chilometri misurandosi innanzitutto con sé stessi, la propria forza e i propri limiti”. L’esposizione è arricchita da contenuti multimediali con contributi di grandi protagonisti come Francesco Moser, che da queste parti è di casa.
Visitando la mostra, è bene dare un’occhiata in giro perché Castel Caldes è veramente ammaliante. In stile gotico più volte rimaneggiato nel corso dei secoli, racchiude in sé le testimonianze di tre culture e il fascino di un’antica leggenda: quella della nobile Olinda, che qui sarebbe stata prigioniera per essere colpevole di essersi innamorata del menestrello di corte. Inizialmente utilizzato insieme alla sovrastante Rocca di Samoclevo per il controllo della valle, nel 1464 il maniero venne acquisito dalla famiglia Thun. Gli ultimi interventi, risalenti al Cinquecento, includono l’edificazione di una cappella dedicata alla Natività di Maria e affrescata dal pittore Elia Naurizio. L’edificio, oggi parte del circuito dei castelli del Buonconsiglio, accoglie mobili d’epoca, opere d’arte e la stube del conte, recentemente portata all’antico splendore.
Davvero suggestiva è proprio la stube del Conte. Ricavato nell’antica torre del castello, l’ambiente, elegante e luminoso, conserva un pregevole rivestimento in legno d’abete, dipinto a tempera e ornato da delicati motivi a stampo di ispirazione vegetale. Realizzato probabilmente nella prima metà dell’Ottocento, secondo il tradizionale modello della stube trentino-tirolese, riflette nella decorazione e nella scelta cromatica soluzioni privilegiate nelle dimore signorili di quegli anni. La realizzazione del bel pavimento ligneo e forse dello stesso soffitto a cassettoni, risalente a qualche decennio primo, si collega alla committenza del conte Sigismondo Ernesto Thun. L’attuale arredo, in parti costituito da pregiati mobili appartenenti alla donazione Triangi, è completato da una grande pendola, opera settecentesca della rinomata bottega anaune di Bartolomeo Antonio Bertolla, e da una seicentesca stufa in maiolica.