A passeggio nel Monastero di pietra vulcanica patrimonio dell’umanità: ad Arequipa, in Perù, c’è un’incredibile città nella città

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Giovanni Bosi, Arequipa / Perù

Fra le sue imponenti mura costruite in sillar (la pietra vulcanica che da queste parti inevitabilmente abbonda) si conservano disegni e architetture in cui si sono fusi i caratteri tipici del territorio e quelli importati dai conquistadores spagnoli. Ad Arequipa c’è il più importante esempio dell’architettura coloniale in Perù. E quando si varca il portone del Monastero di Santa Catalina è come immergersi in cinque secoli di storia.

 

(TurismoItaliaNews) Collocata sulle rive del fiume Chili e ai piedi di tre vulcani innevati, Arequipa rappresenta un’incredibile integrazione tra il lavoro delle mani native e le tecniche e le caratteristiche costruttive del barocca europeo, espressa dall’ammirevole opera di maestri coloniali indiani e creoli e muratori del posto. Un mix che le è valso il suggello dell’Unesco come Patrimonio mondiale dell’umanità. Quando si arriva, generalmente provenendo dalla capitale Lima, prima tappa di un viaggio in Perù, si apprezza immediatamente il valore di Arequipa, dove il risveglio di vulcani esplosivi è ciclico.

E infatti è proprio la combinazione di tecniche adottate per adeguarsi ad un terreno reso instabile dai terremoti, ad aver arricchito la città di robuste pareti, archi, portici, volte, cortili e spazi aperti, resi unici dalla forte influenza indigena nell’intricata decorazione barocca delle facciate di palazzi e chiese. I terremoti più violenti che hanno scosso la provincia hanno anche segnato i momenti chiave del cambiamento nello sviluppo dell’architettura di Arequipa, tanto che si possono identificare cinque periodi di sviluppo: la fondazione come villaggio (1540-82), lo splendore barocco (1582-1784), l’introduzione del rococò e poi del neoclassicismo (1784-1868), il moderno empirismo e la moda neoclassica (1868-1960) e infine il design contemporaneo.

Cuore della città antica è la Plaza de Armas (la Plaza Mayor) con i suoi portici, il municipio e la splendida cattedrale. In un angolo della piazza si trovano la chiesa e il chiostro della Compañia, l’ensemble più rappresentativo del periodo meticcio barocco della fine del XVIII secolo. Ma a due passi c’è anche il Monastero di Santa Catalina, la nostra Santa Caterina da Siena: una cittadella nella città, costruita nel 1579 (poco meno di 40 anni dopo l’arrivo degli spagnoli) con le sue stradine lastricate, la sua chiesa, le celle delle suore, tutto rimasto com’era nei secoli scorsi, con gli stili architettonici dal XVI al XIX secolo. Qui arrivavano donne di diversa provenienza e diversa estrazione sociale per diventare monache di clausura e non ritornare mai più alle loro case.

La storia del monastero si intreccia con quella della Beata Suor Ana de los Angeles Monteagudo, una religiosa che fu priora del monastero e che vi morì nel 1686. Beatificata da Giovanni Paolo II nel 1985, le vengono attribuiti innumerevoli miracoli e predizioni e dunque oggetto del culto popolare. La visita del Monastero di Santa Catalina si rivela straordinaria e imprevedibile al tramonto, quando le ombre si allungano e il colore dorato rende le costruzioni in sillar ammalianti e misteriose, dando l’idea al visitatore che l’attraversa lentamente alla scoperta di scorci ricchi di arte, di dettagli e di splendidi fiori, di trovarsi in pieno Seicento. O quantomeno fuori dal tempo.

Arte, si diceva: la sua pinacoteca conserva centinaia di opere, in particolare una numerosa collezione di pitture della Scuola di Cusco, massima espressione delta fusione delle culture incaica e spagnola, le più importanti delle quali sono esposte in due immense sale con alte volte a botte, disposte a forma di croce. Ma ad Arequipa ci sono anche altri splendidi esempi come il complesso di San Francisco con la chiesa, il convento e i chiostri del Terzo ordine; le cappelle e i conventi di Santo Domingo risalenti al periodo tra il XVI e il XVIII secolo: San Agustín, La Merced e la chiesa di Santa Maria; Santa Teresa e Santa Rosa; anche Puente Real (ora Puente Bolognesi) e Puente Grau sono costruiti in sillar.

In ogni caso il merito dell’architettura di Arequipa non si limita alla grandezza dei suoi monumenti religiosi, ma anche alle sue circa 500 casonas, le residenze della tradizione. Lo spazio urbano penetra all’interno dei blocchi di città attraverso grandi porte e corridoi nei cortili, dove vengono riprodotte le incisioni delle facciate, accentuando così la continuità spaziale. Porte e finestre sono fiancheggiate da pilastri e coronate da frontoni sporgenti che si fondono con le grandi pareti. L’economia ornamentale dei portici si armonizza con la forma delle volte, le cornici sporgenti e le mensole scolpite. Le aperture strette delle finestre consentono alla luce di entrare negli archi semicircolari o negli spazi a volta.

Insieme agli edifici monumentali, alle strade e alle piazze, le casonas assicurano l’armonia e l’integrità del paesaggio urbano e conferiscono alla città un eccezionale valore urbano. E perdersi di notte per le vie di Arequipa è un piacere per gli occhi e per il cuore.

Per saperne di più sul Monastero di Santa Catalina
Santa Catalina 301, Arequipa
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www.santacatalina.org.pe

 

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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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