Toscana: Seggiano, borgo dell’extravergine, nasconde un olivo sospeso nel vuoto e un antico oratorio con graffiti di “teppisti” dell’epoca

Giovanni Bosi, Seggiano / Toscana
Un olivo sospeso nel vuoto alimentato in areoponica, uno scrigno d’arte quattrocentesco con graffiti di invasori “teppisti” dell’epoca, un ingegnoso frantoio ipogeo utilizzato fino a metà Novecento per produrre Extravergine Dop di qualità con l’Olivastra tipica del territorio. Tanti buoni motivi per venire a Seggiano, tra le pendici del Monte Amiata ed un tratto della Val d’Orcia, lungo la Strada del vino Montecucco. E una tappa importante tra i musei della Maremma Grossetana. Siamo andati a scoprire questo incredibile borgo.
(TurismoItaliaNews) Se ancora non l’avete esplorato, dovete proprio andarci. Intanto perché questo piccolo Comune è un balcone affacciato sulla Toscana, dove lo sguardo si perde letteralmente a volo d’uccello su un territorio dominato da olivi e vigneti. Peraltro in un lembo di regione dove l’antica natura vulcanica è un valore aggiunto. E dove, dunque, essere parte integrante della Strada del vino Montecucco insieme a Cinigiano, Campagnatico, Civitella Paganico e parte dei comuni di Castel del Piano, Arcidosso e Roccalbegna, è un valore aggiunto oltre che un biglietto da visita. E’ la più recente delle tre Strade termatiche in provincia di Grosseto e il suo patrimonio sono proprio i terreni vocati alla coltivazione della vite, in un contesto vitivinicolo estremamente qualificato, circondata com’è da denominazioni prestigiose quali il Brunello di Montalcino, il Morellino di Scansano, Sant’Antimo, Monteregio di Massa Marittima…
Il gusto insomma è già di per sé una buona occasione per arrivare qui. Dove in realtà si scoprono cose da vedere assolutamente inattese. Partiamo dalla più curiosa, anche perché estremamente attinente alla coltura più amata del Belpaese: l’olivo. L’antico cisternone dell’acqua a ridosso delle mura del borgo medievale è diventato il luogo ideale per una installazione-sperimentazione: un olivo è stato messo a dimora nel novembre 2014 nella copertura del “cilindro” con le radici sospese nel vuoto e pertanto alimentato in areoponica, valore a dire con vapore acqueo arricchito da sostanze nutritive. Il progetto scientifico, denominato “Intelligent Roots”, è particolare ed ambizioso ed è portato avanti dal Comune di Seggiano sotto la supervisione del neurobiologo Stefano Mancuso, conosciuto a livello mondiale per i suoi studi sull’intelligenza delle specie vegetali, e il controllo nutrizionale e vegetazionale dell’agronomo Fabio Menchetti. La particolarità sta nel fatto che si entra nel cisternone in basso attraverso un’apertura laterale per ammirare col naso all’insù l’olivo dal di sotto, in un gioco di luci altrettanto curiose, pensate per agevolare lo sviluppo della pianta. Meraviglioso!
L’altra tappa è il frantoio ipogeo Ceccherini, ubicato nella parte alta del centro storico di Seggiano. Realizzato verso la fine del diciannovesimo secolo e rimasto in funzione sino alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, è disposto su tre piani a scendere e costituisce un innovativo esempio di frantoio tecnologicamente avanzato per l’epoca. Al primo livello è ben conservato un generatore che sostituiva nelle varie fasi per la produzione dell’olio la tradizionale forza da traino animale. Grazie ad un restauto conservativo le condizioni ambientali delle origini sono state preservate pressoché intatte. L’extravergine in questione, che tuttora costituisce un’eccellenza del borgo, è il frutto di una cultivar autoctona, l’Olivastra Seggianese. Il nome descrive puntualmente l’aspetto dell’oliva, che appare bruttina e rugosa, ma in realtà dona un olio che si apprezza per la sua dolcezza e che può essere più o meno intensamente fruttato a seconda della stagione di raccolta. “È un olio assolutamente unico e raro, con profumo fruttato leggero, netto di oliva, fresco e delicato, con sentori tenui di carciofo e banana matura, sapore delicato, rotondo, con equilibrate fragranze erbacee e di frutta” ci spiegano durante la nostra visita.
Infine, ma non ultimo, c’è l’Oratorio di San Rocco, appena al di fuori della Porta del Mercato, una delle tre porte che consentono ancora oggi l’accesso al centro storico. Costruito nel 1486 per scongiurare una delle tante pestilenze che affliggevano la popolazione, dietro la modesta struttura e la facciata semplice, l’oratorio nasconde un piccolo scrigno d’arte. A partire dal 1490 è stato decorato con pitture a fresco dal senese Girolamo di Domenico: nella volta si ammira Dio benedicente con i quattro Evangelisti; sulle pareti sono raffigurati una Deposizione, una Madonna del latte con santi, e un gruppo di santi tra cui San Bernardino L’esperto che ci accompagna ci spiega che lo stile è quello tipico della pittura senese della fine del Quattrocento. E c’è una curiosità che appare decisamente attuale: alcuni antichi graffiti sono stati incisi sugli affreschi da “teppisti dell’epoca”, anche se in realtà questi sono considerati di notevole importanza storica: riportano infatti alla guerra di Siena e testimoniano il passaggio dell’esercito spagnolo: “20 maggio 1555 di qui passò l’esercito imperiale spagnolo” ha inciso qualcuno sulla pittura prima di andarsene.
L’esplorazione di Seggiano può proseguire lungo le sue stradine, dal neogotico Palazzo del Comune alla vicina chiesa parrocchiale dedicata a San Bartolomeo. Dal borgo si può anche imboccare un suggestivo itinerario (che offre un bel colpo d’occhio sul paese e sulla mole dell’Amiata) che conduce al Castello del Potentino attraverso la celebre Valle degli Ulivi; poco più avanti si trovano i ruderi del Convento del Colombaio, dove ha trascorso il suo noviziato San Bernardino da Siena. Da non perdere anche il Giardino di Daniel Spoerri, meta ideale per gli amanti dell’arte contemporanea: su quasi 16 ettari sono disseminate sculture suggestive ispirate al rapporto tra l’uomo e la natura. Insomma questi luoghi hanno molto da raccontare: basti considerare che lo stesso Seggiano agli inizio del decimo secolo era possedimento dell’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata, ma è di probabile origine etrusca o romana, con il suo nome che deriva dal culto del dio Giano.
In apertura: l'olivo sospeso nel vuoto