Tra miti, leggende e devozione: la Penisola di Kassandra è ben più di uno straordinario luogo di vacanze
Giovanni Bosi, Kassandra / Grecia
Su tutto c’è la mitologia greca, quella popolata da dei, semidei, eroi e creature fantastiche. Quella che Iliade, Odissea ed Eneide ci hanno tramandato a piene mani e che tutti, più o meno, conosciamo ed amiamo. E neanche a dirlo la Grecia è il palcoscenico ideale e scontato per inquadrare tutto questo. Ma non c’è solo la mitologia. A Kassandra, la verde penisola della Calcidica, conosciuta per il verde del territorio e il blu cristallino dell’Egeo, si raccontano molte altre storie, molte altre leggende, ben oltre il mito.
(TurismoItaliaNews) Già questo, insieme alla sua natura lussureggiante, basta e avanza per un viaggio e soprattutto per una vacanza – spalmata su buona parte dell’anno – nella penisola che un tempo si chiamava Phlegra e poi Pallene. E’ qui che secondo la tradizione mitologica si è consumata la guerra fra gli Dei dell’Olimpo e i Giganti ed è qui che si sono adorati il dio egizio Ammon Zeus (che secondo gli Egizi era il re degli dei e il dio protettore di Tebe) e Dionysus (un semi-divino, figlio di Zeus e della mortale Semele, venerato come dio del vino, della fertilità e del teatro). Ma c’è dell’altro.
L’Apostolo Paolo. C’è una tradizione che risale al I secolo dopo Cristo, che racconta di una sorgente di acqua santa e legata all’arrivo dell’apostolo Paolo a Kassandra, qui rifugiatosi dopo essere fuggito da Ierissos dove aveva iniziato a predicare il cristianesimo. Cacciato dalla gente del posto, l’apostolo fu costretto a spostarsi nel territorio della Calcidica, dove l’accoglienza tuttavia non fu migliore. Per sfuggire alla persecuzione, trovò riparo in un anfratto del terreno che era stato adibito a tomba nel periodo macedone. E qui comincia il vero e proprio mistero, così come l’avventura.
Questo luogo è perfettamente identificabile ed è diventato nel tempo meta di pellegrinaggio come dimostrano le sottili candele accese, le piccole icone e i fiori lasciati dai devoti. Siamo nella zona di Nea Fokea, sulla costa orientale di Kassandra, dove oggi i nottambuli trovano la movida che cercano, gli appassionati di storia le attrazioni e i reperti del passato, e gli amanti della natura una bella spiaggia con acque limpide e una pineta che si estende fino al mare. A due passi dalla Torre bizantina che sorveglia il porto, c’è l’ingresso della grotta in cui l’apostolo Paolo visse per un lungo periodo pregando e battezzando di nascosto i nuovi cristiani. E’ in fondo al pertugio che sgorga l’acqua santa. Le ridotte dimensioni della porta esterna lasciano subito intendere quella che è la grotta vera e propria, rivestita da pareti lisce di pietra, rettilinea e lunga quanto basta per richiedere agli occhi uno sforzo visivo. Bisogna camminare piegati fino a quando è necessario accucciarsi per arrivare fino in fondo: uno sforzo fisico che alimenta la suggestione e nei fedeli anche la devozione.
Dalla grotta iniziale si snoda infatti un passaggio basso, lungo circa 20 metri e largo 80 centimetri, che conduce alla piccola cisterna di acqua santa; a destra della sorgente c’è un piccolo spazio di forma rettangolare dove il visitatore si può soffermare. È certo che proprio questo spazio sia stato adibito nel tempo a piccola chiesa come dimostrano alcune agiografie (monogrammi e altre raffigurazioni). Attualmente restano visibili solo poche tracce delle decorazioni negli angoli, anche perché le pareti sono annerite da uno spesso strato di fuliggine delle candele che i cristiani usavano accendervi, poiché non c’è dubbio che questa cripta sia stata anche un rifugio per i credenti nei periodi di persecuzione. Qui c’è pure una colonna di marmo, che doveva essere connessa all’altare della cappellina. Seguendo una tradizione molto antica, i fedeli continuano ancora ad utilizzare questo luogo per vestirsi e lasciare indumenti da benedire. E in questa zona, il 28 e il 29 giugno di ogni anno, si svolge un festival che richiama molta gente.
L’icona venuta dal mare. La storia di Panagia Faneromeni, a Nea Skioni, inizia nel XVI secolo e racconta un episodio a dir poco prodigioso: una massiccia pietra con dipinta l’immagine della Vergine Maria approdata sulla spiaggia dopo aver viaggiato via mare galleggiando come un tappo di sughero. È risaputo che nei secoli scorsi i villaggi venivano posizionati sulle montagne per difendersi dalle incursioni dei pirati che saccheggiavano i centri abitati affacciati sul mare. A tale rischio non sfuggivano quelli di Kassandra. Una notte del XVI secolo alcuni videro una luce in movimento in mezzo al mare, proveniente dalla Tessaglia e diretta verso Tsaprani, come si chiamava il villaggio a circa 3 chilometri dall’attuale Nea Skioni (in quell’epoca soggetta alla dominazione ottomana). Temendo un’incursione, tutti si rifugiarono in posizione sicura. L’indomani, non essendo accaduto nulla di violento, la gente scese a vedere verso la spiaggia trovando con grande stupore la pesante immagine sacra arrivata via mare come nulla fosse. Iniziò così la devozione popolare verso la Vergine Maria approdata dopo un viaggio sull’Egeo.
“È probabilmente un miracolo” pensarono. Così maturò l’idea di costruire una piccola chiesa in cui ospitare e proteggere l’icona. Ma prima si doveva chiedere l’autorizzazione al comandante turco, il quale una volta ascoltata la storia, cominciò a deridere gli abitanti del villaggio consigliando loro di liberare le menti e concentrarsi sul lavoro. Tuttavia ogni sera, dopo il lavoro, la gente si riuniva intorno all’icona e cantava inni supplicando Dio di aiutarla. In uno di questi momenti, il comandante scoprì cosa accadeva e ordinò alle persone di tornare nel villaggio, ma nemmeno un abitante si mosse e anzi tutti sfidarono le sue minacce. L’ottomano andò su tutte le furie scagliandosi contro l’immagine sacra e cominciando a calpestarla e ad imprecare. A quel punto successe l’incredibile: le sue gambe affondarono nella pietra, diventata come una pasta molle, e si bloccarono nonostante gli inutili sforzi del comandante turco. Il suo aiutante corse ad aiutarlo, ma subì esattamente lo stesso trattamento. Da quel momento i due ufficiali, stravolti, iniziarono a chiedere l’elemosina ai paesani per chiedere a Dio di aiutarli, promettendo che avrebbero costruito una chiesa e si sarebbero battezzati con le loro famiglie come cristiani.
Secondo la tradizione di Panagia Faneromeni dimostra che la Madonna ha trovato a Nea Skioni il luogo in cui voleva fosse costruita la cappella. Quella che oggi si visita e dove si può vedere la pietra con le impronte lasciate dal comandante turco. Dunque un’immagine miracolosa: la gente racconta che in alcune occasioni dalla pietra è uscito uno “strano liquido”, come accaduto prima della guerra del 1940 o prima dell’invasione turca a Cipro nel 1974, quando un fiore rosso spuntò sulla santa pietra mentre la Vergine stava di nuovo piangendo.
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