Tutto il fascino di Luna, il sito archeologico in Liguria racconta i fasti del luogo che “inventò” il marmo di Carrara

Giovanni Bosi, Luni / Liguria
La sua storia è quella che parla per prima di quello che nella storia diventerà l’ambitissimo marmo di Carrara, quello attraverso il quale sono nate meravigliose opere d’arte e creazioni architettoniche fastose. Ma tutto comincia da qui: Luna, la colonia romana fondata nel 177 a.C., è oggi raccontata dal sito archeologico e dai tanti preziosi reperti che illustrano la sua lunga storia e quella del suo territorio. Un viaggio a ritroso nel tempo per conoscere nascita e fasti di una città citatissima dagli autori del passato, da Strabone e Dante Alighieri.
(TurismoItaliaNews) Uno spazio immenso, ancora peraltro da indagare in buona parte. Ma quel che è visibile, è già abbastanza per raccontare le vicende di questa città dal nome evocativo e dunque pieno di fascino. Siamo in Liguria, a Luna, fiore all’occhiello del territorio in provincia della Spezia, a due passi dall’odierna Luni. Voluta dai Romani come posto avanzato contro i Liguri Apuani, ai quali avevano faticosamente strappato quel territorio; il suo nome deriverebbe da una dea primitiva italica o forse anche dalla forma a falce del porto cittadino. Luna è uno di quei siti archeologici che ti sorprende e ti chiedi, una volta che lo stai visitando, come sia stato possibile che tu ancora non fossi andato a scoprirla. Scoprire è proprio il termine giusto, perché questi luoghi hanno una storia incredibile, di fatto l’embrione di tutto quello che è poi accaduto in termini di arte, architettura e bellezza dall’Impero Romano fino al Rinascimento, fino ai giorni nostri. In termini più chiari: marmo. Marmo di Carrara. Ma sarebbe più giusto dire marmo di Luna.
Va detto subito che il sito lunense comprende i resti archeologici della colonia romana e un insieme di spazi museali distribuiti su un’ampia superficie, ciascuno dedicato ad un tema specifico: “La vita della città, che copre un periodo di circa 1.400 anni, rende la lettura dei resti archeologici a tratti difficile – mi viene spiegato durante la visita - complicata dal fatto che spesso si conservano solo i pavimenti delle costruzioni antiche perché gli edifici di Luni vennero depredati per ricavare materiale da costruzione o oggetti da collezione. Un’ulteriore criticità è legata alla visione contemporanea di strutture che in realtà sono state realizzate in epoche diverse e che quindi non erano attive tutte insieme”. Ma forse questo finisce con il rendere ancor più intrigante questo sito archeologico, a cui si accompagna l’imperdibile museo attiguo.
Percorrere le sue strade lastricate, il decumano massimo e il cardine massimo, "andare" dalla basilica alla cattedrale, guardare i resti del teatro coperto, ispezionare l’anfiteatro e immaginarlo affollato dagli antichi spettatori entusiasti dello spettacolo a cui stavano assistendo; accarezzare i blocchi possenti del Capitolium, guardare negli occhi i ritratti lunensi esposti in museo, ti risucchia in un vortice che ti trascina per centinaia di secoli indietro nella storia. Basta solo saper vedere, perché la pietra racconta. Eccome se racconta. Del resto, il bello dei siti archeologici è proprio questo: cogliere l’essenza di quello che tramandano. Sono luoghi ancora vivi, dove arte, storia e cultura ti assaltano.
La storia racconta della nascita di Luna all’indomani della guerra contro i Liguri Apuani: siamo nel 177 a.C., quando con il trasferimento di ben 2.000 persone si dà corpo e sostanza alla città (patrocinata dai triumviri M. Emilio Lepido, P. Elio Tuberone e Gn. Sicinio; a ciascun colono sono assegnati 13 ettari in un’area compresa indicativamente tra il fiume Magra e l’attuale Comune di Pietrasanta) per utilizzare il porto come testa di ponte per la conquista della Spagna. Luna da quel momento controlla un ampio territorio, con il porto strategico per gli interessi politico-militari romani, vitale per le attività commerciali. Il momento di maggiore fortuna di Luna si ha tra la fine del I secolo a.C. e la metà del I secolo, quando viene realizzato un imponente programma urbanistico ed architettonico attuato grazie alle ricchezze derivate dallo sfruttamento della cave di marmo apuano, intensificato a partire dall'imperatore Augusto, il quale si servì del prezioso materiale per abbellire Roma. La notorietà di Luna nell’antichità è infatti strettamente legata a quella del marmo lunense, oggi conosciuto come “marmo di Carrara”. Un’arma a doppio taglio, però: la richiesta sempre crescente di marmo ad un certo punto induce l’imperatore Tiberio a togliere alla città e ai privati il diritto di sfruttare le miniere e le cave dell’impero Romano, rendendolo appannaggio esclusivo solo dell'imperatore.
La colonia era sorta infatti a pochi chilometri dai tre bacini marmiferi apuani di Torano, Miseglia e Colonnata, nell'attuale territorio del comune di Carrara. Delle cave più antiche resta poco, poiché l'attività estrattiva di molti secoli ha causato il loro esaurimento; si conservano ancora integre quelle della Tagliata (Miseglia) e di Fossacava (Colonnata). L'estrazione intensiva comincia con Augusto, anche se già intorno all'80 a.C. imprenditori lunensi avevano avviato lo sfruttamento dei giacimenti marmiferi. Già, ma come riuscivano i Romani ad estrarre il marmo? “La tecnica era quella della 'formella', realizzando nel masso prescelto, lungo la linea di taglio, una scanalatura profonda 15-20 centimetri nella quale inserivano cunei di ferro che, percossi piu volte e contemporaneamente, creavano il distacco di blocchi di vario spessore. I blocchi poi venivano fatti scendere a valle per essere segati e imbarcati al Portus Lunae. Plinio documenta che per tagliare il marmo i Romani usavano le lame e suggerisce la presenza di luoghi dove venivano realizzate le lastre (stationes serrariorum) presso il porto di Luni o nella cava” mi spiegano.
E’ stato nella prima Età Imperiale che la città assume una fisionomia fastosa e raffinata di cui oggi restano però solo scarse testimonianze riconoscibili in elevato: porticati fiancheggiano le vie selciate con grandi basoli, gli spazi pubblici sono pavimentati con preziose lastre marmoree, inoltre fontane e giardini allietano monumenti e residenze private. Imponenti statue in marmo degli imperatori e dei membri delle loro famiglie affollano i porticati e i luoghi dedicati. Il clima di generale benessere si protrae anche nei secoli successivi, nell’Età degli Antonini e dei Severi (II e III secolo d.C.).
Un oggetto posizionato all’ingresso del sito, richiama l’attenzione dei visitatori: è un rocchio (cioè un elemento del fusto di colonna) in marmo che non proviene da Luni, ma è stato collocato qui temporaneamente. L’enorme elemento scolpito è stato infatti recuperato sui fondali della Baia della Caletta a Lerici (La Spezia) e faceva parte di un carico di marmo di una nave di epoca romana esplorata nel corso di alcune campane di scavo subacqueo; i resti dell’imbarcazione giacciono tuttora sul fondo marino insieme ad altri due rocchi simili in marmo, di dimensioni ridotte, e sono diventati sede di un sito archeologico subacqueo.
Tra i luoghi più belli del sito, c’è l’anfiteatro, per il quale si è ipotizzata una capienza di 7.000 spettatori: di forma ellittica (88,5 per 70,2 metri), è orientato secondo l’andamento della ripartizione agraria che in età augustea sostituisce quella tracciata all’atto della creazione della colonia. Strutture a volte, poste a sostegno della cavea, sono organizzate su due anelli concentrici separati da un corridoio coperto a volta. Scale, passaggi e vani di deposito o di servizio sono oggi ben visibili, così come alcuni ambienti chiusi destinati alla sola funzione di sostegno della struttura. Dietro il muro del podio che delimita l'arena corre la canaletta di raccolta e scolo delle acque piovane che prosegue verso l'esterno dell'edificio. Il ritrovamento di tegole, coppi e antefisse testimonia l'esistenza di una galleria porticata posta a coronare l’edificio; è verosimile infatti che l’Anfiteatro fosse dotato di altri due piani oltre a quello conservato.
C’è poi il Capitolium, del quale restano oggi solo gli imponenti resti del podio e il basamento rivestito con blocchi squadrati di panchina, che si suppone fosse alto circa 2 metri. Eretto poco dopo la fondazione della colonia, si ipotizza che il tempio avesse tre celle e un pronao a doppio colonnato di quattro colonne. In questa prima fase gli architravi e il doppio spiovente in legno erano rivestiti da lastre di terracotta. Molti esemplari di queste ultime infatti sono stati trovati in una fossa sacra in cui venne sepolto il materiale architettonico del tempio colpito da un fulmine, insieme ad una lastra di marmo con iscrizione “fulgur conditum” (sepoltura del fulmine) e a una lamina di bronzo con i nomi dei magistrati che avevano appaltato e collaudato il rifacimento del Tempio.
La fase bizantina della basilica ci ha trasmesso, nella navata sinistra, parte del pavimento a mosaico che reca un tondo con iscrizione, testimonianza dell’opera di restauro promossa e sostenuta dal “famulus Christi Gerontius”. Della navata destra si conservano lembi di mosaici a tralci vegetali riconducibili a schemi noti in area africana. Nel deambulatorio del presbiterio, infine, rimane una piccola porzione di pavimento realizzato con lastrine di marmo bianco e bardiglio disposte a formare motivi geometrici.
Tra le curiosità del Museo ci sono i Ritratti Lunensi. Quelli rinvenuti qui fino ad oggi, sono stati realizzati in un periodo compreso tra la fondazione della colonia e la seconda meta del I secolo d.C., utilizzando in prevalenza marmo bianco delle cave apuane. A causa della complessa storia dell'esplorazione archeologica della città, sono distribuiti in varie sedi espositive: il Museo Formentini alla Spezia, quello di Archeologia Ligure di Genova Pegli, quello archeologico di Firenze e l'Accademia delle Belle Arti di Carrara. I ritratti conservati al Museo di Luni raffigurano in prevalenza uomini e donne della famiglia imperiale giulio-claudia (prima metà del I secolo d.C.) e sono stati rinvenuti per la maggior parte in edifici pubblici, dando prova dell’esistenza di un programma di propaganda politica. Quelli qui esposti sono tutti ritratti di privati e molto probabilmente sono stati eseguiti nella seconda metà del I secolo d.C. Interessante è quello di un uomo maturo, uno dei pochi in marmo greco ritrovati in città: il personaggio è stato identificato come Lucio Emilio Lepido, il quale, dopo aver delineato nel 187 a.C. il tracciato della Via Aemilia, che da lui prende il nome, dieci anni dopo sarà uno dei triumviri incaricati proprio della fondazione della colonia di Luna.
L'avvento dei Franchi determinò una nuova crisi nella città che, in seguito, non fu in grado di evitare un terribile saccheggio da parte dei pirati saraceni e, pochi anni più tardi (860), il famoso assalto dei Normanni che segnò la fine dello splendore altomedievale di questa città. Il progressivo impaludamento della zona, il conseguente diffondersi della malaria, l'abbandono delle abitazioni, oltre che le necessità difensive fecero il resto: nel 1201, la sede vescovile venne trasferita a Sarzana e Luni perse l'ultimo ed il più importante carattere della sua condizione di città. Della colonia romana rimasero soltanto rovine, destinate a scomparire per la violenza della natura e degli uomini; ma le leggende legate alla loro storia, il fascino di ciò che resta della grandezza del passato, la bellezza del paesaggio circostante ed il mistero che ancora circonda la fine della città, fanno della visita a Luni antica un'esperienza indimenticabile.
L’antica città è stata citata spesso dagli autori antichi. Scrive Strabone - geografo, storico e filosofo greco vissuto tra il 60 a.C. e il 21/24 d.C. – nella sua “Geografia V”: “Luni è sia città sia porto… Mentre la città non è grande, il porto è grandissimo e bellissimo, essendo racchiusi in esso molti altri porti profondi… Il porto è circondato da imponenti montagne dalle quali si dominano il mare e la Sardegna, e ampia parte di costa. Ci sono là miniere di pietra bianca o colorata di strisce biancastre, monoliti che consentono di ricavare lastre e colonne d’un pezzo solo, cosicché la maggior parte delle più belle opere in Roma e nelle altre città hanno in questo posto la loro origine. E la pietra è infatti facilmente trasportabile giacché le miniere sono poco al di sopra del mare e dal mare si può entrate nel Tevere”.
E poi Dante Alighieri nella Divina Commedia: “Se tu riguardi Luni e Urbisaglia, come sono ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, udir come le schiatte si disfanno non ti parrà nova cosa né forte, poscia che le cittadi termine hanno” (Paradiso, XVI, 73-79).