Quando la polenta si mangiava sulla spianatoia (e ancora ci piace farlo)
Giovanni Bosi, Foligno / Umbria
È una tradizione che non può essere dimenticata, tanto che in famiglia quando fuori è freddo e la nostalgia ti assale anche a tavola, si rinnova quello che un tempo era una sorta di rito. Di certo una condivisione, un modo di fare tramandato di generazione in generazione: cuocere la polenta e poi condirla, servirla e mangiarla sulla spianatoia.
(TurismoItaliaNews) Usata per "tirare" la sfoglia con il rasagnolo (il matterello) e dunque per preparare la pasta fatta in casa - le tagliatelle, i tagliolini, i cappelletti, i quadrotti per la pasta al forno - la spianatoia (o spianatora, come la chiana qualcuno) nelle famiglie umbre è servita e ancora oggi serve per la polenta. In alcuni luoghi d'Italia si utilizza una sorta di tagliere rotondo, ugualmente di legno, ma qui in Umbria la tavola di legno serve anche a questo: versarvi la polenta bollente (che è nella versione morbida, abbastanza liquida) e condirla con un sugo corposo e saporito, in cui accanto al pomodoro sono irrinunciabili il guanciale (oppure la pancetta tesa, ventresca come viene chiamata in dialetto) , le salsicce, le costine di maiale. Una sorta di ragù decisamente sostanzioso, anche troppo grasso, ma decisamente buonissimo per versarlo sulla polenta "spalmata" sulla spianatoia.
Il condimento va uniformemente a coprirla (lo strato di polenta è in genere di circa un dito o poco più) insieme a una spolverata di formaggio Pecorino che aggiunge ulteriore sapidità. Si dice che vale la regola delle 3 P: polenta, porco e Pecorino... A questo punto la tradizione vuole che ogni commensale si siede a tavola e armato di cucchiaio mangia la parte che si trova davanti a lui, possibilmente non cedendo alla tentazione di sconfinare sulla parte del vicino. Può effettivamente palesarsi un problema di condivisione in qualcuno, non così pronto a fare suo questo modo di mangiare secondo tradizione. È comprensibile. E allora c'è la soluzione: una mini spianatoia di legno per ciascun commensale, evitando ogni rischio di contatto con gli altri commensali. Preparazione e modalità di condimento sono però identiche. Beh, provare per credere.
Dietro tutto questo c'è la storia di famiglia, di vissuto personale. Di domeniche in cui fuori era freddo, i vetri delle finestre si appannavano e dentro una stufa bruciava la legna rilasciando il tipico odore che a sua volta rendeva ancor più avvolgente l'atmosfera. Ecco dunque che c'è anche un tocco di romanticismo, di passione e di amore. Ricordi che affiorano e che sono indimenticabili perché fanno parte del proprio bagaglio personale. Una specie di "noi, quelli che...".