Petra: nel deserto giordano le antiche tradizioni orientali si fondono con l’architettura ellenistica
Giovanni Bosi, Petra / Giordania
E’ sicuramente una delle più grandi meraviglie mai compiute dalla Natura e dall’Uomo. Petra, in Giordania, è una straordinaria testimonianza di come la bellezza spontanea e quella ricercata possano fondersi in un unicum irripetibile e inimitabile. E di certo Al Khazna, il Tesoro - simbolo indiscusso di questo patrimonio dell’Unesco, di cui solo recentemente è stato possibile accertare con certezza la sua effettiva destinazione – continua ad affascinare ed ammaliare. Perché per l’immaginario collettivo resta comunque un mistero dell’umana intraprendenza.
(TurismoItaliaNews) Tutti conoscono Petra. Basta citarla per suscitare emozione e voglia di vederla. Tutti la materializzano con il pensiero quando se ne parla, eppure quando si arriva sul posto la meraviglia, lo stupore e l’ammirazione sono indescrivibili, come se non si fosse mai vista neppure in foto o in tv. L’emozione è talmente grande che le parole non ce la fanno a trasmettere al lettore quello che si prova quando si è al cospetto di Al Khazna, il Treasury, dopo aver percorso il Siq, lo stretto canyon che si insinua tra le pareti rocciose alte fino a 80 metri, antica entrata principale che conduce alla città di pietra.
E sì, in effetti Petra in greco vuol dire proprio “pietra”. La globalizzazione dell’informazione e del turismo ha conclamato questo luogo come una delle città più misteriose del mondo antico, un gioiello perduto nel deserto giordano, con il Tesoro che è al contempo capolavoro non solo architettonico ma persino ingegneristico, tanto da aver suscitato per lungo tempo interrogativi sulla sua realizzazione, considerando che la sua costruzione viene ora incasellata dagli studiosi fra tra il 100 a.C. e il 100 d.C. Qui le antiche tradizioni orientali si sono fuse con l’architettura ellenistica.
A firmare la realizzazione sono stati i Nabatei, una tribù nomade proveniente dalla penisola arabica che si stabilì qui più di 2.000 anni fa, affermandosi per le attività commerciali e il controllo delle rotte carovaniere, tanto da trasformare questo luogo desertico in un crocevia delle più importanti arterie del mondo antico fra Cina, India, Arabia meridionale ed Egitto, Siria, Grecia, Roma. Tanto abili, quanto ricchi e potenti, come attesta proprio il Tesoro, che ne simboleggia sontuosità e potere. Ma davvero Al Khazna, posto com’è al termine del Siq e quindi all’ingresso di Petra, è stato realizzato soltanto per impressionare chi visitava la città? O il motivo era piuttosto un altro?
L’interrogativo per due secoli ha arrovellato gli archeologi e cioè da quando nel 1812 l’esploratore elvetico Johann Ludwig Burckhardt (Losanna, 24 novembre 1784 – Il Cairo, 15 ottobre 1817) si mise alla ricerca dell’antica città perduta di cui aveva sentito parlare. Lo stupore che provò lo svizzero quando si trovò per la prima volta al cospetto del Tesoro, è praticamente lo stesso che provano oggi le centinaia di migliaia di turisti che arrivano da tutto il modo per avere l’emozione di percorrere quella stretta e tortuosa gola, lunga più di un chilometro. Il Tesoro è il primo approccio sostanziale con Petra: da lì in poi si scopre un mondo imprevedibile, entrando nel quale è come compiere un salto nella storia. Anzi, ben più di un salto: praticamente ci si trova catapultati in un passato ricco di fascino e mistero.
Mistero, in effetti, è il termine giusto. La prima domanda è: come hanno fatto a costruire il Tesoro? E poi: a cosa serviva? Davvero a nascondere il tesoro dei Nabatei? E cosa è raffigurato su quella facciata classica scavata nell’arenaria dalle sfumature rosate? Cosa vogliono dirci le raffinate decorazioni e sculture? Inoltre: cosa c’era nelle stanze ricavate nella parete rocciosa che lo contiene? Quesiti intriganti a cui si è potuta dare risposta solo recentissimamente, in realtà senza scalfire quell’alone di mistero che da sempre caratterizza Petra.
Intanto qualche dato in più. Il Tesoro è una struttura larga 25,30 metri e alta 39,10 metri, praticamente quanto un palazzo di 12 piani; all’interno ci sono tre camere: una centrale e altre due ripartite su ciascun lato. Considerando la sua antichità, la mole consacra Al Khazna come notevole per l’architettura antica, realizzata evidentemente da chi aveva nozioni scientifiche ed ingegneristiche. Tenuto infatti conto che è integralmente scavata nella roccia, i Nabatei hanno dovuto procedere dall’alto verso il basso in modo che il carico e la spinta della roccia sovrastante non facesse crollare tutto. E poi senza sbagliare: qualsiasi errore – costruttivo o decorativo – sarebbe risultato fatale e senza correzione. In un primo momento gli studiosi avevano ritenuto che fossero stati gli Egizi a costruire il Tesoro per depositarvi quella di un faraone (tanto che erano state le tribù beduine locali a dare il nome alla struttura, Khazneh Faraun, testualmente “il Tesoro del Faraone”) ma poi la disponibilità di nuovi documenti ha smentito l’ipotesi, anche perché ci sono molti elementi di derivazione greca ellenistica… E alcuni indizi contenuti in documenti greco-romani di due millenni fa, hanno portato all’individuazione dei Nabatei come costruttori, quasi un millennio dopo la gloriosa epopea dell’antico Egitto.
L’esame delle modalità costruttive (di cui si ritrovano tracce in quanto portato a termine e persino in ciò che non è mai stato ultimato nella città di Petra) ha permesso agli archeologi di comprendere che il Tesoro è stato scavato rimuovendo il materiale sotto forma di blocchi di pietra, successivamente utilizzati per costruire altri imponenti edifici della stessa città. Non solo: la zona desertica in cui si trova, può essere soggetta a periodiche inondazioni di acqua dovute a forti piogge nel periodo fra novembre e marzo, e così i Nabatei si sono pure ingegnati per lo smaltimento delle acque mediante un articolato sistema di dighe e un tunnel di 30 metri scavati nella roccia, che le convogliava in un'altra gola. Mentre un altro reticolo di tubi di terracotta posizionati sempre nella roccia, serviva ad alimentare - con le sorgenti sparse nel raggio di decine di chilometri e con la pioggia - un’altrettanto complessa rete di centinaia di cisterne sotterranee. Geni, questi erano i Nabatei: capaci di costruire una sorta di oasi nel deserto pronta ad accogliere almeno 50mila persone.
E poi ci sono le decorazioni del Tesoro, che si differenziano di molto da quelle tradizionalmente utilizzate dai Nabatei, in genere disegni geometri con le divinità professate nel III e IV secolo a.C. mostrate come blocchi rettangolari secondo la modalità araba. In questo caso sulla facciata compaiono anche animali, foglie e fiori; e poi sei Amazzoni, le mitiche donne guerriere della tradizione greca, con asce bipenne impegnate in danze di morte; la corona della dea egizia Iside, con una sottostante testa di medusa; le 4 aquile che nell’antichità si credeva portassero in Paradiso le anime dei defunti. Gli studiosi interpretano inoltre le 2 figure alla base della facciata come i due gemelli romani Castore e Polluce che guidano nell’aldilà le anime dei defunti. A ben guardare nel Tesoro tutto è ricondubile alla morte, incluso un bacino con un buco e un canale di scopo, che serviva per sacrifici.
Tutti questi elementi hanno fatto riflettere gli studiosi nel corso del tempo, finché nel 1996 si è scoperto in origine la quota del terreno davanti ad Al Khazna era più bassa rispetto a quella del momento. Nel 2003 uno scavo archeologico ha consentito di individuare sei metri più in basso 4 camere sepolcrali con i resti di 11 salme e questo finalmente consente di dire con certezza che il Tesoro in realtà era (ed è) un mausoleo con un sepolcro inferiore. L’analisi del corredo funebre ha permesso di datare con relativa certezza il periodo storico di riferimento: il 1° secolo d.C., quello di Areta IV, probabilmente il più importante sovrano di Petra. A lui sarebbe dunque riconducibile il tutto e lui sarebbe il protagonista dello splendore della città di pietra che ancora oggi ammiriamo. Sono state rinvenute anche molte monete con l’effigie di Areta IV, il quale si ritiene sia tuttavia sepolto altrove. Il mistero rimane.
Del resto il Tesoro è solo la prima delle tante meraviglie che compongono Petra, per esplorare completamente la quale servono almeno quattro o cinque giorni. Oltre il Khazneh la stretta gola si apre a formare un ampio bacino, dove si ammirano le rovine della civiltà perduta e dove si viene sopraffatti dalla bellezza naturale di questo luogo e dai suoi eccezionali risultati architettonici. Ci sono centinaia di elaborate tombe scavate nella roccia con intagli intricati: a differenza delle case, distrutte per lo più da terremoti, le strutture destinate alla sepolture sono state scolpite per tutta la vita ultraterrena e 500 sono sopravvissute, vuote ma ammalianti mentre si passa davanti alle loro buie aperture. C’è anche un imponente teatro in stile romano, costruito sempre da Nabatei, che può ospitare 3.000 persone. E poi obelischi, templi, altari sacrificali e strade colonnate, e in alto, sovrastante la valle, c’è l'imponente monastero di Ad-Deir, per accedere al quale bisogno percorrere una scalata di 800 gradini scavati nella roccia.
Oggi quello di Petra è uno dei siti archeologici più famosi al mondo e per questo annoverata dall’Unesco nei Patrimoni dell’Umanità: le testimonianze archeologhe e i monumenti architettonici dalla preistoria ai periodi medievali sono documentazoni eccezionali delle civiltà ormai perdute che si sono alternate nell’area, segnando un significativo incontro tra Oriente e Occidente a cavallo del primo millennio della nostra era.
Per saperne di più
www.visitjordan.com
www.jordanpass.jo
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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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