La Peschiera nel borgo dà spettacolo: a Santa Fiora tutto parla di Medioevo (ma anche di miniere e minatori)
Giovanni Bosi, Santa Fiora / Toscana
Dicono che il suo centro storico è un inno al Medioevo. Viuzze e vicoli stretti e tortuosi conducono alla scoperta delle bellezze di questo piccolo angolo di paradiso sul versante meridionale dell’Amiata, arroccato su una rupe da cui sgorga il fiume Fiora. Siamo in Toscana, a Santa Fiora: l’unicità di questo borgo tra i più belli d’Italia è la Peschiera, vero e proprio parco-giardino rinascimentale voluto dagli Sforza per sostenere la popolazione che un tempo poteva allevarvi trote e carpe. Oggi questo paese è la cornice perfetta per chi ama il turismo attivo o per chi desidera rigenerarsi nel silenzio della natura.
(TurismoItaliaNews) Non solo la Peschiera, comunque. Se questa insolita, artistica e scenografica vasca collocata nel bel mezzo del borgo è una delle bellezze, non è comunque l’unica attrazione. Nei secoli Santa Fiora ha saputo legare il suo nome ad Andrea della Robbia, le cui opere d’arte in terracotta dai colori vividi e brillanti impreziosiscono la pieve delle Sante Flora e Lucilla, la chiesa più imponente del paese. Luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, dove i ritmi sono ancora scanditi dal lento scorrere del fiume che bagna le colline di questo angolo di Toscana autentica.
Santa Fiora si deve agli Aldobrandeschi, ma è stato sotto gli Sforza che il borgo ha vissuto i suoi momenti di splendore, periodo al quale si devono le testimonianze che spuntano lungo le sue viuzze. E come antico retaggio, il centro storico si racconta attraverso la suddivisione in terzieri: Castello, Borgo e Montecatino. E’ dal primo che parte la visita, ovvero la zona più antica come lascia intuire il suo nome, dove si individuano i resti di edifici e fortificazioni aldobrandesche, con la grande piazza dominata dalla Torre trecentesca e dal Palazzo dei conti Sforza Cesarini, sede del Comune. Attraverso Via Carolina si arriva alla Porticciola e si percorre il Borgo, sorto come ampliamento urbanistico quattrocentesco del Castello, il cui punto di attrazione fu probabilmente il Convento agostiniano di San Michele. Per lungo tempo è stata questa la parte più abitata del paese, dove hanno trovato posto le botteghe artigiane e le attività commerciali legate all’agricoltura. In una zona marginale del terziere, fra il Convento delle Clarisse e il Convento agostiniano, c’era il Ghetto degli Ebrei.
Il percorso prosegue da Porta San Michele, attraverso la quale si raggiunge il terziere di Montecatino, nome non casuale visto che (come punto di raccolta nell’acqua) è dominato dalla Peschiera Sforzesca che a partire dal quindicesimo secolo raccoglie le acque delle sorgenti del Fiora. Accanto, imperdibile, c’è la Chiesa della Madonna delle Nevi con l’Acquedotto del Nora. Costruita nel Rinascimento in sostituzione di un’antica edicola votiva, la chiesina conserva nella facciata un tabernacolo robbiano, mentre all’interno, nel presbiterio, sono raffigurati i santi Agostino, Monica, Guglielmo e Nicola da Tolentino, opera di Francesco Nasini del 1640; un ciclo di affreschi decorava inoltre la navata e la controfacciata. Gli scavi archeologici condotti una ventina di anni fa hanno portato alla luce una strada lastricata trecentesca, fiancheggiata da edifici e attraversata da un torrente che si immette ancora oggi nella Peschiera. Il tutto è reso visibile da un tratto di pavimentazione sostituito da una lastra di cristallo che consente di vedere il sottostante passaggio dell’acqua verso la Peschiera.
Le ultime ristrutturazioni della Peschiera sono state effettuate da Lorenzo Sforza Cesarini nel 1851 ed oggi l’immagine complessiva è quella di un parco attraente punteggiato da pini, cipressi, tigli, castagni, lecci, cedri e magnolie, con l’accesso che avviene da un piccolo edificio con loggiato a tre archi. Dalla Peschiera le acque del Fiora defluiscono in una vasca all’esterno del muro di cinta, sormontata da due delfini con il tridente, utilizzata un tempo come abbeveratoio e poi come lavatoio pubblico.
La presenza del fiume e della Peschiera è stata peraltro un’opportunità di sviluppo nel tempo: sfruttando la forza motrice delle acque, sono sorte manifatture preindustriali come mulini, ferriere e laboratori artigiani, portando conseguentemente alla formazione di un vero e proprio nucleo insediativo che, oltre ad accogliere le maestranze degli impianti, utilizzava anche la propria posizione di confine per attività commerciali, mercantili e pure forme di contrabbando.
Il Museo delle Miniere dell’Amiata
Se Santa Fiora è un esempio di borgo medievale, riesce a raccontare anche un importante capitolo di storia decisamente più recente: nel Palazzo Sforza Cesarini è ospitato il Museo delle Miniere di Mercurio del Monte Amiata, dove si può ripercorrere la storia dei minatori che per lungo tempo sono stati l’anima di questo luogo. Realizzato per testimoniare la storia delle miniere e dei sacrifici compiuti dagli uomini che vi lavoravano, il percorso museale con la documentazione storica riesce efficacemente a far rivivere condizioni antiche e moderne del lavoro, dell’organizzazione sociale e dello sviluppo delle miniere sul Monte Amiata, oltre a far intuire fatica e rischi che questo lavoro comportava. Il museo, di proprietà del Comune di Santa Fiora, fa parte della rete museale Amiata Grossetana e dei Musei di Maremma oltre che del Parco nazionale Museo delle Miniere dell’Amiata.
“L’epopea mineraria amiatina nel XIX e XX secolo ha segnato la società e la cultura locale facendo vivere all’Amiata la sua industrializzazione con i conseguenti passaggi sociali e culturali propri del periodo – ci spiega il geologo Davide Franceschelli durante la nostra visita - l’allestimento descrive la storia mineraria dal punto di vista tecnico ed umano, il lavoro delle zone e dei bambini, le malattie professionali e le lotte sociali”. Una ricca documentazione digitale con videointerviste ai minatori e la raccolta di foto storiche è a disposizione di tutti sul sito dedicato alle miniere di mercurio.
Non solo: la descrizione geologica comprende una delle più interessanti raccolte mineralogiche della Toscana con campioni di minerali provenienti dalle miniere amiatine e della regione in genere. Nell’area dell’antico vulcano le miniere di cinabro sono state sfruttate fin dall’epoca etrusca e romana, ma l'estrazione potrebbe risalire a tempi ancor più antichi: tracce di escavazioni sono state riscontrate nelle miniere del Siele, delle Solforate, del Morone, del Cornacchino e di Cortevecchia. Stando ai reperti litici ritrovati (mazze, picconi, asce e zappette in corno di cervo), la datazione di questi lavori risalirebbe al neolitico (cultura di Rinaldone, III millennio a.C.). In alcune tombe di necropoli rinaldoniane sono anche stati recuperati resti ossei con tracce di cinabro. Il ritrovamento di una moneta con l’effigie di Filippo il Macedone, nella miniera del Cornacchino, secondo gli studiosi convaliderebbe l’ipotesi che i lavori di estrazione del cinabro nelle miniere del Monte Amiata continuarono anche nel V secolo a.C., in epoca etrusca. E tuttavia la vera e propria “corsa al mercurio” risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando si diffuse l’impiego industriale del mercurio. Lo sviluppo dell’industria mineraria amiatina stravolse le comunità locali, ma fece anche sì che i lavoratori sviluppassero una nuova coscienza della propria condizione, spingendoli a rivendicare i propri diritti e a diventare, con il passare dei decenni, cittadini di uno stato moderno.
“Nel frattempo l'Italia è stata unificata, ha attraversato una dittatura e due guerre mondiali, per divenire infine una repubblica democratica via via sempre più portata a farsi carico del benessere e delle problematiche dei suoi cittadini. Se tutto questo é avvenuto, è stato anche grazie alla fatica, alle lotte e alle rivendicazioni dei minatori” sottolinea Davide Franceschelli. E c’è una citazione che non si può non fare, proprio per dare il senso dello strettissimo rapporto tra le miniere e questo borgo: “Venite a Santa Fiora siete tutti invitati” dice un testo popolare cantato dal Coro dei Minatori di Santa Fiora, perché questo paese è soprattutto accoglienza.