Ventimiglia, il Forte dell’Annunziata racconta storie antiche di gladiatori, cittadini romani e artigiani che erano autentici artisti
Giovanni Bosi, Ventimiglia / Liguria
Un balcone sulla costa ligure e sulla Costa Azzurra, ma anche un affaccio sulla storia antica di questo territorio da sempre cerniera tra i popoli. Lo spettacolare Forte dell’Annunziata di Ventimiglia, voluto dai Savoia per rafforzare il confine occidentale dei domini, oggi è il contenitore di centinaia di reperti archeologici che raccontano il passato del territorio con busti, teste, rilievi, frammenti di sarcofagi pagani e cristiani, piatti, coppe e suppellettili varie, tornati alla luce dopo secoli e secoli di oblio. Non venire quassù sarebbe davvero un peccato.
(TurismoItaliaNews) Lo skyline di Ventimiglia è dominato dalla spettacolare silhoutte del Forte dell’Annunziata e nel vederlo da lontano ti chiedi subito quale meraviglioso panorama si potrebbe ammirare da lì. Promessa mantenuta quando si arriva: l’intuizione si rivela corretta dato che dalla fortezza costruita tra il 1831 e il 1837 al posto dell’omonimo convento dei Padri Minori Osservanti (che vi campeggiava già dal 1503) il colpo d’occhio è impressionante. Affacciandosi da quella che era la piazza d’armi è come compiere un volo d’uccello sulla città moderna, spaziando dalla piana di Latte ai giardini botanici Hanbury, alle grotte dei Balzi Rossi, fino ad arrivare in territorio francese, a Cap Esterel, a Montecarlo. E poi i resti del municipium romano fin verso la punta di Sant’Ampelio a Bordighera, per perdersi con lo sguardo all’orizzonte sul mar Ligure.
L’antica struttura, venute meno le proprie funzioni (soprattutto dopo la cessione di Nizza) e comunque più volte rimaneggiata nel suo assetto, oggi è di proprietà della Regione Liguria, che l’ha concessa al Comune di Ventimiglia per una serie di attività collettive, incluso l’allestimento del museo archeologico intitolato a Girolamo Rossi, vale a dire lo scopritore della città romana di Albintimilium. L’Annunziata negli ultimi anni è stato così oggetto di un importante progetto di restauro finanziato con fondi comunitari che ha permesso il recupero degli spazi al piano terra, della splendida terrazza aperta sul mare di Punta Rocca, e dei locali che accolgono il percorso dedicato agli antichi reperti. La raccolta comprende centinaia di pezzi recuperati in occasione degli scavi ottocenteschi di Albintimilium, in particolare dalla sua necropoli occidentale e dal teatro, ma anche provenienti dal mercato antiquariale, molto florido in quel periodo, favorito dalla scoperta della città romana e dalla presenza straniera stabilitasi in Riviera.
L’allestimento è intrigante e invita a muoversi nelle varie stanze dove sono esposti i reperti, da ammirare da vicino per coglierne i dettagli e la perizia con cui furono realizzati da veri e propri artigiani-artisti di un paio di millenni fa. Oltre alle iscrizioni romane di Albintimilium, che rappresentano uno dei lapidari più grandi di tutta la Liguria, si possono vedere busti, teste e rilievi della collezione di Thomas Hanbury; un vasto campionario delle suppellettili ceramiche in uso tra I e II secolo d.C. nella città romana, tra cui coppe, patere, bicchieri, lucerne, olpai, brocche provenienti da varie parti dell'impero; una raccolta di vetri, tra cui spicca, volutamente isolata, una coppa intagliata con figura di ictiocentauro, mostro metà uomo e metà pesce, del III secolo d.C., insieme a una bottiglia a sezione quadrata con marchio di fabbrica sul fondo, destinata a contenere e trasportare “aromata et medicamenta”, profumi o unguenti, densi e preziosi.
Le sculture è come se ti ammiccassero quando passi davanti a loro: costituiscono un significativo campione della cultura artistica di età romana dal I al V secolo d.C., come la testa di Dioniso del II secolo d.C., il ritratto di bambino della fine del III/prima metà del IV d.C., il bel ritratto di età teodosiana raffigurante forse l’imperatore Onorio, e la testa ideale femminile diademata del I secolo d.C., tradizionalmente identificata con Hera-Giunone, copia di modelli neoattici del V a.C. Non mancano i gladiatori: c’è una lastra frammentaria con rappresentati tre di loro, in origine parte di un fregio che decorava il Colosseo a Roma, e quello con un’aquila stefanefora spiegata fra i busti di Sol e Luna, attribuita al culto di Iuppiter Dolichenus, datata tra tardo II e il III secolo d.C.
Sono proprio i dettagli a colpire: la bellezza di questi reperti sta nel fatto che con una particolare decorazione o una piccola scritta ti proiettano nel tempo in cui furono realizzati, commissionati chissà da chi. Ad esempio le due basi destinate probabilmente a reggere le statue che commemoravano due illustri cittadini di Albintimilium. Loro erano vissuti entrambi nel corso del II secolo d.C.: Quintus Mantius Placidus, che fu aedilis, duovir, sacerdos Lanuvinus, iscritto alla tribù Palatina e non alla Falerna, propria dei cittadini di Albintimilium; e Marcus Aemilius Bassus che, al culmine della carriera nell’amministrazione pubblica, divenne governatore della provincia della Giudea nel 135 d.C. Meraviglioso pensare a questi due cittadini che sono riusciti con l’opera d’arte a diventare immortali.
Una selezione di suppellettili fittili recuperate prevalentemente dai corredi funebri delle tombe della grande necropoli occidentale di Albintimilium (che si sviluppava, tra I e II secolo d.C., lungo la via Iulia Augusta, dopo aver lasciato il centro abitato dalla porta decumana) consente di apprezzare piatti e coppe a vernice rossa prodotti dalle officine italiche e galliche, molti dei quali con il bollo del fabbricante sul fondo interno; e ancora bicchieri, boccali e scodelle di varia foggia, lucerne alimentate ad olio con il disco decorato, bottiglie monoansate e brocche per contenere acqua, vino o latte; il tutto era il corredo-tipo delle necropoli dell’antica regio IX Liguria, che doveva accompagnare il defunto nel suo viaggio verso le tenebre dell’Ade. Affascinante. Altrettanto imperdibile è la selezione di vasi in vetro: coppe, piattelli, bottiglie, flaconi, unguentari, in parte integri, in parte contorti dal rogo delle pire funebri su cui venivano adagiati per onorare i defunti. Su tutto spicca la celebre coppa decorata con la figura di ictiocentauro che nuota in un mare di pesci proveniente dalle officine di Colonia Agrippina (l’attuale Colonia, in Germania), e il flacone “da droghiere” destinato a contenere “aromata et medicamenta” con bollo sul fondo recante il nome del fabbricante e una chimera. Entrambi si datano nell’ambito del III secolo d.C., che corrisponde a un periodo di grande floridezza economica e culturale della città di Albintimilium.
Insomma tanto da vedere in questo bel museo, che racconta anche un aspetto della quotidianità: il consumo di miele, assai diffuso e con molteplici usi. In cucina come dolcificante, condimento e conservante; ma anche nella cosmesi per la produzione di numerosi olii aromatici, profumi, unguenti e altri prodotti di bellezza; e pure nella medicina come antisettico, cicatrizzante e purgativo. Nella religione aveva invece un valore simbolico.
Se arrivate dunque a Ventimiglia (a proposito: è sbagliato pensare che il suo nome derivi semplicemente da una distanza chilometrica!) fatevi un bel giro nel centro storico e salite al Forte dell’Annunziata. Il Museo archeologico vi aspetta per raccontarvi una bella storia…
Per saperne di più
Museo Civico Archeologico “Girolamo Rossi”
Via Verdi, 41 – Ventimiglia
www.marventimiglia.it