L’altra vita del giornalista Antonio Castello: dal set di Cinecittà alle radici della Tuscia

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Giovanni Bosi, Bolsena / Lazio

C’è una parte poco conosciuta della vita di Antonio Castello, giornalista e ricercatore instancabile della storia locale e delle tradizioni italiane, che sorprende e affascina: quella vissuta tra i set e le luci di Cinecittà, negli anni d’oro del cinema italiano. Oggi conosciuto come autore e promotore instancabile della Tuscia, Castello è stato, negli anni Sessanta, uno dei tanti volti che hanno dato vita all’epopea del grande schermo, partecipando a celebri produzioni che hanno segnato un’epoca. Ma la sua non è stata una semplice esperienza di comparsa: il suo percorso sul set si intreccia con quello dei grandi maestri del cinema e con una stagione irripetibile della cultura italiana.

 

(TurismoItaliaNews) Giornalista appassionato e profondo conoscitore delle tradizioni popolari, Antonio Castello ha dedicato gran parte della sua carriera alla valorizzazione del territorio viterbese, raccontandone i borghi, le feste, le memorie e le persone. Il suo lavoro, tra articoli, corrispondenze di viaggio e pubblicazioni specialistiche, è sempre mosso dal desiderio di trasmettere la memoria nascosta del Paese, restituendo valore a luoghi e storie spesso dimenticati. La sua ultima guida sulla provincia di Viterbo nasce proprio da questa vocazione: offrire al viaggiatore un percorso autentico, un invito a conoscere un territorio dove cultura, paesaggio e tradizione si fondono in un racconto unico.

Eppure, prima di diventare un punto di riferimento per chi ama la Tuscia, Castello ha calcato un altro palcoscenico. Negli anni Sessanta, quando Cinecittà era il cuore pulsante del cinema mondiale, ha preso parte a diverse produzioni di rilievo. Comparse giovanili certo, ma ben più di una comparsa perché oggi sono storie avvincenti da raccontare con semplicità e che saltano fuori casualmente stando a tavola con Antonio. Avventure vissute da giovane studente, per arrotondare ma anche per vedere da vicino come nascono grandi pellicole. Fino a finirci dentro. Tra i film ai quali ha partecipato figurano titoli cult come “I due pompieri” di Bruno Corbucci (1968), con la celebre coppia Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, commedia che ha raggiunto il 73º posto tra i maggiori incassi della stagione 1968-1969. E’ seguito “Satyricon” di Gian Luigi Polidoro (1969), con Ugo Tognazzi e Don Backy, ispirato in chiave parodistica all’opera di Petronio, e ancora “La Bibbia” di John Huston (1966), monumentale produzione di Dino De Laurentiis che ripropone sullo schermo i primi capitoli della Genesi, girata tra gli studi di Dinocittà e le grandi scenografie naturali italiane. Antonio in queste pellicole c'è e si vede.

Sant’Agata de’ Goti, nel cuore del Parco Regionale del Taburno - Camposauro

Non meno importante la sua partecipazione a “Il tormento e l’estasi” (1965), kolossal diretto da Carol Reed e tratto dal romanzo di Irving Stone, dedicato alla figura di Michelangelo e al rapporto con papa Giulio II. Un film dal destino singolare – costato dieci milioni di dollari e accolto con più entusiasmo dalla critica che dal botteghino – ma rimasto nella memoria per la sua potenza visiva e per la presenza di due giganti del cinema, Charlton Heston e Rex Harrison.

Essere parte di quell’universo, in un’epoca in cui Cinecittà ospitava Federico Fellini, Luchino Visconti, Sergio Leone, Ettore Scola, Anna Magnani, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Sophia Loren, Claudia Cardinale, significava vivere da vicino il sogno del cinema italiano e internazionale. Negli stessi teatri di posa lavoravano anche maestri del calibro di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, contribuendo a costruire una leggenda: circa 3.000 film girati, 90 candidature agli Oscar e 51 vittorie che resero Cinecittà un simbolo mondiale dell’arte cinematografica.

Antonio Castello con la sua guida dedicata ai Sapori della Tuscia

Oggi, nel ricordare quella parentesi straordinaria della sua vita, Antonio Castello non rinnega nulla di quell’esperienza, anzi. Forse è proprio da quei set, tra finzione e realtà, che è nata la sua sensibilità per il racconto, la sua capacità di cogliere i dettagli, i volti, le atmosfere. Un talento che ha poi trasferito nella sua attività di giornalista e divulgatore, trasformando la Tuscia nel suo grande set permanente: un luogo dove la storia, la natura e le tradizioni continuano a recitare, ogni giorno, la parte più autentica dell’Italia.

 

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