Il miracolo del Parmigiano Reggiano Dop: esperienza unica scoprire in caseificio come nasce il formaggio che il mondo intero ci invidia

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Giovanni Bosi, Parma

Se non lo avete mai fatto, è qualcosa che dovete assolutamente mettere in programma. Perché soprattutto quando si tratta di mangiare, capire come si produce un alimento e in particolare qual è la filosofia che è alla base, qual è il territorio in cui nasce e quali sono le persone che ci lavorano è fondamentale. Un valore aggiunto sicuramente. E che fa comprendere, in questo caso specifico, perché è un’eccellenza che il mondo intero ci invidia (e ci copia, ma senza successo). Visitare uno dei caseifici in cui si produce il Parmigiano Reggiano Dop è un’esperienza che svela qualcosa di inimmaginabile (ma che si intuisce dalla bontà).

 

(TurismoItaliaNews) Tradizione, passione, attenzione, responsabilità, unicità… Possono essere davvero tanti i termini che da utilizzare per capire cosa ruota intorno al Parmigiano Reggiano Dop. Un’eccellenza mondiale che ha saputo conquistare il podio grazie ad una serie di qualità irripetibili. “E sì, perché il Parmigiano si fa sul campo. L’allevamento e il nutrimento delle mucche, questa è la prima grande differenza” ci dice Elisabetta Rastelli, guida appassionata che conduce nei caseifici turisti che arrivano da tutto il mondo. Una sottolineatura importante, perché a ben guardare il segreto successo comincia proprio là dove si coltivano foraggi, erbe e fieni, prosegue nelle stalle dove si vezzeggiano le bovine e continua nei caseifici dove il latte diventa formaggio. E quella di assistere alla “creazione” delle forme è l’esperienza straordinaria da vivere. Il Consorzio Parmigiano Reggiano è ben felice di incentivare le visite e i caseifici sono altrettanto entusiasti nell’accogliere gourmet e gourmand. Perché di questo si tratta…

Il miracolo del Parmigiano Reggiano Dop: esperienza unica scoprire in caseificio come nasce il formaggio che il mondo intero ci invidia

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La nostra visita avviene insieme al direttore Antonio Martini nel Caseificio Ambrosi in località Mamiano, uno dei circa 330 caseifici in cui avviene il miracolo. Il territorio è quello di riferimento secondo il rigidissimo disciplinare: la produzione del latte, la trasformazione, la stagionatura minima e il confezionamento avvengono esclusivamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna alla sinistra del fiume Reno e Mantova, alla destra del fiume Po. Un’ora e mezza di lavorazione per dare corpo e sostanza a quello che avviene da quasi mille anni solo in questo territorio. “In questo territorio si concentrano i circa 3.000 allevamenti in cui le bovine vengono alimentate con foraggi prodotti in quest’area – ci informa ancora Elisabetta Rastelli - è da questo profondo legame con un ambiente rispettato e tutelato che nasce l’unicità del Parmigiano Reggiano”. Questa non è un’affermazione pensata per uno spot: è semplicemente la sintesi del lavoro di uomini e donne che amano quello che fanno. E si sente.

Le spiegazioni tecniche sono fondamentali per capire, ma quel che è più coinvolgente sono i movimenti dei casari davanti ai caldai di rame scaldati a vapore e in cui si versano - attenzione attenzione - ben 550 litri tra latte scremato della mungitura della della sera e latte intero della mattina, per ottenere una sola forma (2 per ciascuna operazione, con 1.100 litri di latte). E tanto olio di gomito… La coagulazione del latte avviene lentamente e naturalmente grazie all’aggiunta di caglio e del siero innesto ottenuto dalla lavorazione del giorno precedente e ricco di fermenti lattici naturali. La cagliata viene frammentata dal maestro casaro in minuscoli granuli grazie ad un antico attrezzo detto spino.

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“E’ a questo punto che entra in scena il fuoco, per una cottura che raggiunge i 55 gradi centigradi, al termine della quale i granuli caseosi precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa. Dopo circa cinquanta minuti il casaro estrae la massa caseosa che darà vita a due forme gemelle – spiega il direttore Antonio Martini facendo sue parole, movimenti e codifiche di un iter adottato da tutti i caseifici che aderiscono al Consorzio di tutela - tagliato in due parti e avvolto nella tipica tela di lino, il formaggio viene immesso in una fascera che gli darà la sua forma definitiva. Ad ogni forma viene assegnata una placca di caseina con un codice alfanumerico unico e progressivo: è la carta d’identità che in ogni momento e in ogni luogo rende possibile identificarne l’origine. Dopo poche ore, una speciale fascia marchiante incide sulla forma il mese e l’anno di produzione, il numero di matricola che contraddistingue il caseificio e l’inconfondibile scritta a puntini su tutta la circonferenza delle forme”.

Le forme dopo pochi giorni vengono immerse in una soluzione satura di acqua e sale: si tratta di una salatura per osmosi. Con quest’ultimo passaggio si conclude il ciclo di produzione del Parmigiano Reggiano e inizia il periodo di stagionatura. Quella del Parmigiano Reggiano è una storia lunga, ma è anche una storia lenta, che scorre al naturale ritmo delle stagioni. La stagionatura minima è infatti di 12 mesi, la più lunga tra tutti i formaggi Dop, ed è solo a quel punto che si potrà dire se ogni singola forma potrà conservare il nome che le è stato impresso all’origine e continuare così l’invecchiamento fino a 24, 36, 40 mesi e oltre.

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Il direttore del caseificio Antonio Martini

Una grande storia che parte da lontanto e che il tempo ha man mano migliorato in termini qualitativi. “Il Parmigiano Reggiano racchiude in sé un viaggio unico e straordinario lungo mille anni, che si compie ancora oggi negli stessi luoghi, con la stessa passione e gli stessi ingredienti – afferma la nostra guida Elisabetta Rastelli - nel Medioevo i monaci cistercensi e benedettini, spinti dalla ricerca di un formaggio in grado di durare nel tempo, furono i primi produttori: grazie al sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore e al latte delle vacche allevate nelle grangie, le aziende agricole dei monasteri, ottennero un formaggio dalla pasta asciutta e dalle grandi forme, adatto alle lunghe conservazioni”.

È prima di tutto una caratteristica microbiologica a legare il Parmigiano Reggiano alla propria zona di origine. Per la produzione di Parmigiano Reggiano, infatti, si utilizza latte crudo prodotto esclusivamente in questo territorio. E’ un latte particolare, caratterizzato da una singolare e intensa attività batterica della flora microbica autoctona, influenzata da fattori ambientali, soprattutto dai foraggi, erbe e fieni del territorio che costituiscono il principale alimento delle nostre bovine. Inoltre, per fare il Parmigiano Reggiano non si usano additivi. Questo significa che durante il processo produttivo non vi sono interventi esterni (ad esempio aggiunta di additivi enzimatici o di batteri selezionati in laboratorio) per modificare l’attività dei batteri. Solo il casaro durante la trasformazione in formaggio, grazie alla tecnica di caseificazione riesce a valorizzare e a far prevalere i batteri lattici che operano le fermentazioni lattiche positive ed attese per la buona riuscita del formaggio, spiegano dal Consorzio di tutela.

Il miracolo del Parmigiano Reggiano Dop: esperienza unica scoprire in caseificio come nasce il formaggio che il mondo intero ci invidia

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La stagionatura minima è di 12 mesi, la più lunga tra tutti i formaggi Dop, ed è solo a quel punto che si potrà dire se ogni singola forma potrà conservare il nome che le è stato impresso all’origine e continuare così l’invecchiamento fino a 24, 36, 40 mesi e oltre. Trascorsi 12 mesi, gli esperti del Consorzio controllano tutte le forme attraverso un esame chiamato “espertizzazione”: la forma viene percossa con il martelletto e l’orecchio attento dell’esperto battitore riconosce eventuali difetti interni che possono interferire con la qualità. E poi… buon appetito!

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