Umbria, Rasiglia la bella: chiare, fresche e dolci acque… e una tradizione triennale che racconta devozione e tempi passati
Giovanni Bosi, Rasiglia / Umbria
Dire che è un esempio unico e per questo straordinario nel cuore dell’Umbria, è già moltissimo. E sì, perché Rasiglia, il borgo delle sorgenti nel territorio folignate, è un esempio meraviglioso di connubio tra natura e creatività umana, tra paesaggio e fabbrica nel paesaggio. Andare è una sorpresa, tornare è una conferma dello stupore come se fosse sempre la prima volta. E in questi giorni, ogni tre anni, si può vivere direttamente una tradizione che parla di devozione e tempi passati: la festa della Madonna delle Grazie. Siamo andati a vedere.
(TurismoItaliaNews) Siamo nella valle del Menotre, tra Valle Umbra e Valnerina, una delle porzioni più affascinanti dell’Umbria, dove la storia legata al misticismo, alle produzioni incentivate dalla presenza di acqua e ad una serie di borghi che sono gemme autentiche, è ancora oggi viva e pulsante. Spicca Rasiglia, che con il suo assetto urbanistico ed architettonico è un unicum che si svela poco a poco quando ci si perde lungo le sue stradine ricavate – al pari di case ed opifici medievali - tra i percorsi indomiti dell’acqua che sgorga fresca e trasparente dalla sorgente che continua a dissetare migliaia e migliaia di persone. Questo borgo è qui da sempre e a seguito dei terremoti che hanno sconvolto l’Italia centrale a partire dal 1997 (perché c’è stato pure quello del 2016) ha potuto beneficiare di una serie di interventi che hanno permesso – e stanno permettendo – di recuperare un patrimonio inestimabile.
E quel che è curioso, è che qui il turismo ha cominciato a svilupparsi grazie ad un vero e proprio tam-tam, grazie ai racconti, ai post, a scorci decisamente istagrammabili diffusi attraverso i social. Oggi Rasiglia, che qualcuno ha voluto definire “la piccola Venezia Umbra”, sta conoscendo un risveglio che non ha precedenti. Merito anche, per dirla tutta, dell’associazione di promozione sociale “Rasiglia e le sue sorgenti”, un “attore” irrinunciabile per il borgo che ce la sta mettendo davvero tutta per far conoscere i pregi della piccola frazione folignate con una serie di iniziative. A partire dalla valorizzazione di quel grande universo composto da sorgenti, verde, arte millenaria. “Rasiglia è un luogo perso nel tempo – ammicca Umberto Nazzareno Tonti, la cui famiglia è originaria di qui e dunque ha un legame sentimentale fortissimo - la sua ragione d’essere è l’acqua. Dalla fragorosa sorgente di Capovena sembra scaturire tutto l’abitato che si dispiega, secondo la disposizione naturale, ad anfiteatro e sorge come borgo necessario alla rocca che, ancora forte del suo antico ruolo, sovrasta con l’alta mole le molte case, strette tra loro in una solidale vicinanza”.
A Rasiglia si va e si torna ancora. Non è un caso se è una delle località del Belpaese candidata per i Luoghi del Cuore del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano. La sua storia, del resto, parte davvero da lontano: un molino, una gualchiera, alcune case nel borgo erano di proprietà dei Trinci, i Signori di Foligno, che sfruttando la preziosa presenza dell’acqua avevano dato vita a quelle attività che per secoli hanno poi garantito la vita di tutta la comunità. A Rasiglia, dovunque, ogni percorso è scandito dall’acqua. Il borgo attira ormai tanti turisti che il Comune di Foligno ha dovuto creare nuovi parcheggi e servizi, aprire un info-point. L’impegno dei 50 residenti per fare rinascere la “piccola Venezia dell’Umbria” dopo i crolli del terremoto del 1997 ha vinto la sfida.
C’è un motivo in più per andare o tornare a Rasiglia proprio in questo periodo: a cadenza triennale nel primo scorcio di settembre si rinnova la festa della Madonna delle Grazie, una devozione antichissima attestata dalla presenza del santuario costruito nel 1450 nei pressi del borgo e collegato a sua volta ad un monastero di “semireligiose” presente già due secoli prima. Anche se poi è vox populi il convincimento che in tempi remoti sarebbe stata scoperta miracolosamente una statua della Madonna sotto il fosso Terminara, dando il via libera alla costruzione del santuario. Quella statua, alla base ancora oggi del culto, mostra la Vergine in terracotta (solo viso, petto e mani, il resto è di legno) inginocchiata in adorazione del Bambino Gesù. Collocata sopra l’altare maggiore del santuario, in occasione della Festa triennale viene portata in solenne processione nella chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, per rimanervi alcuni giorni prima di tornare alla normale collocazione.
Fede e devozione si esprimono con una fortissima partecipazione agli eventi che richiamano gente anche dai borghi di tutta la valle, anche perché significa assistere a riti che si perdono nella notte dei tempi. Come quello della vestizione della Madonna, che comincia molto prima della festa. E’ un privilegio che viene tramandato tra alcune donne del paese ed è un vero e proprio rito che comincia quando un gruppo di “uomini con sapienza” prendono il sacro simulacro dall’abitacolo in cui si trova abitualmente e lo appoggiano su un basamento di legno a sinistra dell’altare. Poi le donne, una volta rimaste sole, chiudono il santuario ad occhi indiscreti ed iniziano la vestizione. Oggi gli abiti della Madonna sono tre, di cui due che vengono messi a rotazione, ed uno, il più antico e prezioso, che per la sua fragilità viene utilizzato solo in occasione della Festa triennale.
Di grande interesse è la stessa chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (il patronio del paese è però San Macario Abate, che si celebra il 2 maggio), tornata all’antico splendore grazie ai lavori di recupero post-sisma: ad una sola navata, ha sull’altare maggiore e su quelli laterali dipinti di pregio, realizzati tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo da vari autori umbri, come Nicola Epifani, artista abbastanza noto e di qualità. Decorano le pareti quattro pale d’altare, due delle quali sono attribuite ad un anonimo pittore umbro, della seconda metà del XVII secolo e due allo stesso Epifani. Il soggetto di tre dei quattro dipinti fa riferimento alla Madonna, dimostrando la profonda devozione di questa comunità alla Vergine.
Attira l’attenzione, poi, il battistero e la fonte battesimale, in un piccolissimo vano a destra del portale d’ingresso, con dipinta l’immagine del Redentore con San Giovanni Battista che lo battezza. Non meno prezioso l’organo Fedeli datato 1788, recentemente restaurato: un atto coraggioso, un messaggio di valorizzazione di quanto è custodito nel nostro territorio, che segna inevitabilmente la storia passata e futura della frazione. “Uno strumento in più che si unisce all’orchestra che accompagnerà il coro degli angeli” chiosa Umberto Nazzareno Tonti.
La particolarità di Rasiglia, a più di 600 metri di quota, sta in ogni caso nel suo assetto, nella sua conformazione, frutto della ricchezza dell’acqua: sull’intreccio di vicoli e vie d’acqua sorgiva si affacciano edifici in pietra che furono un tempo mulini, lanifici, tintorie per la lavorazione di stoffe pregiate, che sfruttavano l’energia idraulica garantita dal fiume Menotre. “Nella prima metà del Seicento, infatti, il borgo vide uno sviluppo importante delle botteghe e delle attività artigianali legate alla lavorazione dei tessuti. Una crescita che si è interrotta nella prima metà del Novecento, quando i lanifici si sono trasferiti nella vicina Foligno - ci spiega ancora Umberto Nazzareno Tonti - dopo alcuni decenni di quasi totale abbandono il piccolo borgo sta rinascendo e alcuni edifici proto-industriali sono stati ristrutturati a uso abitativo e turistico. Oggi il parco archeologico-industriale del tessile di Rasiglia costituisce un raro esempio di conservazione di tutti gli elementi necessari alla produzione dei manufatti tessili, dalla tosatura alla realizzazione del prodotto finito”.
L’investimento di notevole impegno economico, avvenuto agli inizi del ventesimo secolo in una piccola realtà come quella di Rasiglia, dimostra la grande ricchezza della comunità che, ancora oggi, gelosamente si prende cura dei luoghi ed è attenta alla conservazione a sostegno della propria storia. Ecco perché vale la pena venire a vedere… Con l’opportunità di degustare le tante eccellenze che il territorio produce.
Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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