Iran: nel castello fantasma di Izadkhast, la città fortificata costruita con argilla e paglia
Giovanni Bosi, Izadkhast / Iran
Un castello costruito con paglia e argilla che domina la valle del fiume Izad, da cui prende il nome. Oggi è una città fantasma e sono tante le suggestioni che evoca nel percorrere le stradine tortuose che si snodano fra case semidistrutte, un hammam e cisterne profonde. Poco lontano ci sono un caravanserraglio e il ponte Safavide. L’intero complesso di Izadkhast è in attesa dell’inserimento nel Patrimonio mondiale dell’Umanità, nella categoria culturale. Siamo andati in Iran per vederlo.
(TurismoItaliaNews) Sotto il sole che da queste parti picchia alla grande, le pareti di argilla, paglia e pietre oppongono una strenua resistenza, quasi a volersi tramandare nel futuro con una punta d’orgoglio. Siamo nel distretto centrale della contea di Abadeh, nella Provincia di Fars, nell’Iran centrale: il castello di Izadkhast ha avuto un passato glorioso e accolto migliaia di abitanti, ma adesso non c’è più nessuno a raccontare al suo interno le vicende di quanti lo hanno animato nel corso dei secoli.
Fondata intorno al 200-300 dopo Cristo, questa cittadina fortificata ha visto concludersi la sua storia quando il fiume esondando ne ha quasi provocato la liquefazione sotto la furia delle acque, rendendo necessaria la sua evacuazione. Così da 150 anni è abbandonata a se stessa, in attesa che si possa mettere mano ad un’azione di recupero e tutela delle antiche vestigia. Tutt’intorno sono sorte altre abitazioni, in posizione più sicura e in un certo modo la presenza umana è garanzia di preservazione, per quanto possibile, per il nucleo più antico. La traduzione del nome Izadkhast equivale a “Voluta da Dio”, a ricordare che la sua nascita sarebbe legata ad una forte nevicata che costrinse la popolazione in movimento a fermarsi in quel punto, su un blocco rialzato di terreno in realtà molto fragile, ma che per tanto tempo ha garantito la difesa di Izadkhast.
Per entrare all’interno c’è un unico accesso protetto da un pesante portone collegato da un ponte (o meglio da ciò che resta del ponte) al territorio circostante. E quando si varca l’ingresso, si compie un salto indietro nel tempo, con l’immaginazione che ricrea il fermento e la vitalità della gente che un tempo vi abitava. E’ un’emozione fortissima muoversi fra cià che resta in piedi - ed è davvero molto – di questa antica città, bellissima ed imponente pur nel suo stato di abbandono e degrado. Inevitabilmente nel corso del tempo si sono succeduti ampliamenti, modifiche e riassetti che documentano le diverse fasi storiche dai Sassanidi ai Qajars.
Nella grandiosa valle sottostante in cui scorre il fiume, domina la scena il caravanserraglio costruito fra il XVI e il XVII secolo durante il periodo Safavide e che ora si sta adattando ad albergo. Tutt’intorno vi sono coltivazioni di riso, frumento e frutta e la scena dà la sensazione dell’infinito vista dalla parte più alta del castello. Bisogna muoversi con prudenza, la condizione statica delle costruzioni è quella che è e i margini esterni del castello, sulla parte che dà verso l’immenso alveo del fiume, più in basso di diverse decine di metri, si è tramutato in un precipizio in alcuni tratti; sui pavimenti di quelle che erano case si aprono profonde cisterne, mentre in quello che era l’hammam si possono “leggere” gli accorgimenti tecnici per il suo funzionamento.
Sotto il cielo azzurro, il colore dell’argilla con cui il tutto è stato costruito, fa assumere un che di surreale a quanto si guarda, con gli occhi che corrono avidamente da uno scorcio all’altro, quasi nel tentativo di individuare chissà cosa. I nomi attribuiti al complesso nel corso dei secoli sono stati diversi: Īzadkhvāst, ma anche Īzad Khvast, Azad Khast, Yazd-e Khāst, Yazd-e Khvāst e Yezd-i-Khast, ma perfino Samīrum. Raggiungerlo non è difficile visto che la strada per arrivarci si imbocca dall’autostrada Isfahan – Shiraz e dopo la visita non manca un buon thé nella vicina casa dell’uomo che ci ha aperto il cancello. Tutto trasuda storia, compreso il racconto dell’uccisione di Zaki Khan della dinastia Zand, nel 1779, da parte dei suoi stessi uomini, per punirlo delle atrocità commesse.
L’intero complesso è candidato ad essere iscritto nella lista del Patrimonio Unesco dal 2007 e in via provvisoria è inserito nella categoria culturale.