Iran, sulla montagna di Naqsh-e Rostam le gigantesche sculture raccontano le imprese epiche dei grandi re del passato

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Giovanni Bosi, Naqsh-e Rostam / Iran

Un sito impressionante. Per le dimensioni delle sue sculture sulla roccia e pure per la grandezza dei personaggi storici di cui - con prosopopea propagandistica – si tramandano alle generazioni future le imprese compiute, con messaggi fin troppo espliciti ai popoli sottomessi e ai nemici ancora da sconfiggere. In una zona desertica dell’Iran, nella regione di Fars, c’è la suggestiva necropoli di Naqsh-e Rostam.

 

(TurismoItaliaNews) Questo luogo ha davvero qualcosa di speciale. E’ un vero e proprio manifesto della storia scritta da personaggi del calibro del re Ardašīr I, fondatore della dinastia sasanide; dei grandi re dei Persiani Dario e Serse, di Narsete.

Lo scenario è la parete pressoché verticale della montagna, una gigantesca “lavagna” su cui incidere, scolpire, scrivere, raccontare le gesta in una sorta di film ante-litteram oltre alle tombe scavate e incorniciate da gigantesche croci, con bassorilievi achemenidi. Di fatto Naqsh-e Rostam è un insieme di antichissime opere storiche, religiose e artistiche risalenti ai periodi achemenide e sasanide all’interno di un piccolo perimetro compreso fra la zona di Persepoli (che si trova a una manciata di chilometri) e la città pre-sasanide di Estakhr, tra le quali scorre il fiume Polvar.

Quando si arriva, si ha subito la sensazione di conoscerle già: in effetti sono immagini che compaiono su tutti i libri di storia e vederle dal vivo è un’emozione forte, soprattutto perché si coglie la loro grandiosità, in tutti i sensi. Il “fotogramma” più emblematico è quello che racconta il trionfo di Sapore I (241-272) con le sue Res Gestae Divi Saporis: sul più famoso dei rilievi sasanidi su pietra è raffigurata raffigurata la vittoria di questo re sasanide (sul trono di Persia dal 12 aprile 241 alla sua morte) contro gli eserciti invasori dell’Impero romano e in particolare sui due imperatori Filippo l'Arabo (raffigurato che implora la pace) e Valeriano (che viene catturato, in ginocchio).

La scultura più antica è però quella risalente al 1000 a.C. e che presenta un uomo con uno strano copricapo, che gli studiosi ritengono essere di origine elamita. Il nome del sito archeologico deriva proprio da questo rilievo: Naqsh-e Rostam significa infatti “Immagine di Rostam”, in quanto secondo una leggenda rappresentava il mitico Rostam, eroe della mitologia persiana, figlio di Zal e Rudaba. La parete della montagna si articola sostanzialmente in due registri: nella parte alta, ad una quota notevole dal piano di campagna, vi sono quattro tombe di re achemenidi, note come le “quattro croci persiane” per la forma della facciata; l’ingresso è posizionato al centro di una croce ed immette ad una piccola camera dove il re era tumulato in un sarcofago.

Ma di chi sono queste tombe? Grazie ad un’iscrizione, una è stata identificata come la sepoltura di Dario I (522-486 a.C.); le altre sono attribuite a Serse I (486-465 a.C.), Artaserse I (465-424 a.C.) e Dario II (423-404 a.C.). Una quinta incompiuta, potrebbe appartenere ad Artaserse III, che regnò solo due anni, ma è più probabile che si tratti di quella di Dario III (336-330 a.C.), ultimo della dinastia achemenide. Gli altri bassorilievi raccontano la storia degli altri re. Come l’investitura di Ardašīr I (224/226-241): al fondatore della dinastia sasanide viene consegnato il diadema della regalità da Ahura Mazda, creatore del mondo sensibile e di quello sovrasensibile, della religione zoroastriana; la particolarità dell’iscrizione è che qui appare per la prima volta il termine “Iran”.

C’è poi la grandezza di Bahram II (276-293), due rilievi equestri di Bahram II (impegnato contro soldati romani), l’investitura di Narsete (293-303, è raffigurato quando riceve il diadema della regalità da una figura femminile identificata come la divinità di Arədvī Sura Anahita) e il rilievo equestre di Ormisda II (303-309).

Proprio di fronte alla parete della montagna, sulla sinistra di chi guarda, richiama l’attenzione una specie di torre di pietra a base quadrata, il cui ingresso si trova molto più in basso rispetto al piano di campagna che percorre il visitatore. E’ chiamata Bun Khanak, ma anche Ka'ba-ye Zartosht, ovvero la Ka'ba di Zoroastro, perché per lungo tempo si è creduto fosse un tempio del fuoco zoroastriano, di epoca achemenide; le ultime indagini ritengono tuttavia si trattasse della sede del Tesoro di Stato.

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