Marche, grandi suggestioni nella Domus del Mito: a Sant’Angelo in Vado un viaggio nella storia con splendidi mosaici

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Giovanni Bosi, Sant’Angelo in Vado / Marche

Visitarla si rivela un viaggio indietro nel tempo, alla scoperta di reperti archeologici e scientifici che portano alla luce le origini di una terra la cui bellezza è davvero senza tempo. E’ la Domus del Mito a Sant’Angelo in Vado, il cui suggestivo nome rivela subito la presenza di mosaici che raccontano episodi mitologici di grande effetto. Siamo ai piedi del Monte Nerone, nelle Marche, nell’alta Valle del Metauro: è qui che sorge uno dei borghi più antichi della provincia di Pesaro-Urbino.

 

(TurismoItaliaNews) La Domus dei mosaici a Sant’Angelo in Vado è una di quelle scoperte che si può definire a giusto titolo “sensazionale”, perché permette al visitatore di calarsi nella storia e di entrare in una casa romana rimasta inalterata per 2.000 anni. Un ritrovamento che di fatto conferma e valorizza l’antichissima storia del borgo sorto su quella che era la Tifernum Mataurense, diventata nel tempo capitale della Massa Trabaria, la provincia ecclesiastica medievale degli Appennini centrali, a dimostrazione della sua posizione strategica.

Che un cospicuo tratto della città romana si trovasse nel sottosuolo del campo della Pieve era noto da tempo grazie alle fotografie aeree, finché le campagne di scavo archeologico effettuate tra il 2003 e il 2005 hanno dato il via ad una serie di interventi di restauro che hanno interessato dapprima le pavimentazioni e in seguito anche le strutture murarie della domus gentilizia eretta nel I secolo d.C., tornate alla luce. I primi restauri hanno interessato il mosaico del Trionfo di Nettuno, il mosaico raffigurante la Medusa, il mosaico con il volto di Bacco e via via tutti gli altri.

Lo scavo stratigrafico effettuato dagli archeologi ha consentito l’individuazione di numerosi vani di quella che si è quindi rivelata essere stata un’articolata domus: sono ben 27 gli ambienti riportati alla luce e dopo la conclusione dello scavo si sono potute individuare i muri divisori e perimetrali oltre a quasi tutti i pavimenti delle stanze. Così è possibile immagine come funzionasse e quale tipo di vita si svolgesse al suo interno. Sicuramente di una famiglia più che agiata e amante del bello. Sapendo che la strada romana si sviluppava ad ovest dell’abitazione, gli studiosi hanno stabilito che l’ingresso (vestibulum) della domus sia da collocarsi nel vano in cui campeggia il Trionfo di Nettuno. Da questo vano, attraverso una soglia in arenaria, si percorre un corridoio con pavimentazione musiva raffigurante quattro quadrati geometrici bicromi tranne un elemento floreale rosa (vano da cui si accede all’atrio-peristilio e contemporaneamente ad altri 2 vani).

La stanza in cui è possibile osservare un pavimento musivo raffigurante il volto di Bacco era probabilmente il tablinum, accanto al quale c’era una camera da letto (cubiculum) in cui è presente un mosaico geometrico il cui disegno risulta decentrato, come se si trattasse di un tappeto ai cui lati andavano disposti gli arredi. Dal corridoio del quadriportico dell’atrium (mosaico geometrico ad esagoni alternati da rombi) si accedeva, lungo il lato est, alla sala da pranzo (triclinium) da cui si raggiungevano altre due stanze, disposte simmetricamente a nord e a sud, usate anch'esse durante i banchetti o le riunioni. Nel triclinium è presente un pavimento musivo policromo su cui sono visibili una scena di caccia e una scena di pesca inscritta in un quadrato al centro mentre nella porzione circostante sono presenti numerose formelle al cui interno sono inserite figure zoomorfe e mitologiche. Nelle due stanze attigue, a sud è presente il mosaico con il volto di Medusa in un esagono, mentre nel vano nord sono presenti alcuni quadrati policromi che creano un tappeto simmetrico e in alto, sullo stesso tappeto, ad ovest, è presente un rettangolo in cui sono state inserite coppie di animali e un elemento floreale centrale.

Nell’angolo nord-est sono presenti una serie di vani - corridoio che permettevano di raggiungere l’atrium, assetto che fa ipotizzare agli archeologi che il vano fosse un ingresso secondario di servizio. Ulteriori due vani sono da identificare con la zona da bagno e lo spogliatoio (apoditherium) e forse la stanza con il mosaico geometrico bicromo era adibita al relax del proprietario e dei suoi ospiti. Tutte le stanze prive di pavimentazioni e con strutture murarie eseguite a secco, disposte lungo il lato sud, sono da mettere in relazione con le attività domestiche: infatti sono stati recuperati, in fase di scavo archeologico, sia pesi da telaio sia aghi. Il vano posto nell’angolo nord-ovest, lungo la strada, pare che nel corso dei secoli sia sempre stato usato come luogo di cottura probabilmente prima dei cibi e successivamente a scopo artigianale per la produzione di ceramica. Per quanto concerne il vano in cui è presente una pavimentazione in cocciopesto, non sono disponibili informazioni tali che possano consentire l’attribuzione della stanza ad un determinato uso.

Le ricerche si sono spinte più avanti grazie all’analisi stratigratica archeologica effettuata all’interno di ogni vano, allo studio delle ceramiche e delle monete rinvenute e all’esame delle caratteristiche artistiche delle pavimentazioni musive, consentendo di individuare una serie di periodi e fasi che hanno interessato la domus durante un arco cronologico di quasi cinque secoli. A partire dal I secolo d.C., epoca di costruzione della domus in base all’interpretazione dei materiali rinvenuti e dell’analisi stilistica delle pavimentazioni e dei confronti con altri siti dello stesso periodo in cui sono presenti raffigurazioni simili. Tra il II e III secolo sono state apportate delle modifiche strutturali alla domus continuando però ad utilizzare gli stessi pavimenti musivi; è stato durante il III secolo d.C. che l’edificio è stato abbandonato: prima che crollasse la copertura, è stato completamente spogliato e probabilmente anche gli arredi hanno preso un’altra strada, dato che gli strati individuati conservano reperti ceramici e numismatici di tale periodo e alcuni frammenti dell’intonaco dipinto delle pareti, mentre non è stato rinvenuto nemmeno un elemento del tetto di copertura o tracce di legname che dovrebbero essere crollati prima di tutto il resto.

Ma cosa ha provocato ha fuga precipitosa dei suoi abitanti? “L’abbandono del III secolo – spiegano gli studiosi - potrebbe essere in relazione a qualche catastrofe naturale che colpì la zona; ciò è deducibile dai mosaici dei pavimenti che presentano numerose depressioni o rialzamenti”. C’è però stato un riuso successivo. Durante il IV - V secolo d.C. l’edificio è stato nuovamente utilizzato sia per uso abitativo sia per la produzione artigianale come dimostra il rinvenimento di fornaci per la cottura di ceramica: in alcuni vani sono stati individuati pavimenti in cocciopesto appartenenti a tale periodo che risultano 50 centimetri più alti dei mosaici.

La visita della Domus del Mito è dunque una straordinaria esperienza, che assicura quelle suggestioni e quelle sensazioni che solo luoghi legati alla grande storia possono donate al visitatore. Tenendo poi conto che qui a Sant’Angelo in Vado c’è pure dell’altro da vedere: il complesso museale di Santa Maria extra muros, il Museo dei vecchi mestieri nei sotterranei di Palazzo Mercuri in Piazza Umberto I, la Chiesa di San Filippo e la Chiesa di Santa Caterina. Ma attenzione, perché dire Sant’Angelo in Vado significa anche dire tartufo bianco pregiato delle Marche, prodotto d'eccellenza che da queste parte è coccolato fino ad ergersi ad elemento identificativo di un territorio e del suo popolo.

 

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