[ REPORTAGE ] Ecco la mia India: un sì energico alla vita, una felicità non occidentale ma non meno meravigliosa e straordinaria
Margherita Moretti, Delhi / India
L’India compare nella mia cartina geografica del mondo un giorno di primavera del 1998 quando la mia compagna di banco del liceo mi regalò un libro "Il Dio delle piccole cose", descriveva immagini violente in un paese violento. Le minuscole cose della vita determinano le leggi d'amore e l'India era una perfetta cornice immobile e complice. A dicembre del 2024 ho visto l'India per la prima volta e credo che non la dimenticherò mai.
(TurismoItaliaNews) Non dimenticherò l'assenza di cielo o la definizione dello stesso, il disco solare in una giornata serena senza esserlo veramente, il sincretismo religioso e l'alternanza delle caste, in questo gioco sociale che è vecchio quanto il mondo, ma che non suona ancora di legge abolita. Chiunque viva l'India, anche solo come visitatore, non può non chiedersi in quale meccanismo gerarchico sarebbe finito se è vero che abitare la casta inferiore significa aver vissuto una vita precedente quale peccatore. C'è una sorta di scostante volontà di immedesimazione nella ricerca di una identità indiana che però tarda ad arrivare, dovendoci sforzare a pensare e a immaginare due milioni di divinità, ai piedi scalzi nei templi, al nostro Samsara e chissà a quant'altro.
In India c'è Varanasi. Varanasi non si vede come tutte le città del mondo, Varanasi non si visita come tutte le città del mondo, Varanasi si sente. La senti nel cuore, la senti nella mente e poi nel respiro in un continuo fluire delle cose che è poi la raffigurazione della vita (o della morte - dipende dai punti di vista). Dimenticare i volti dei baba di Varanasi, le pire e il Gange sarà praticamente impossibile.
A Varanasi l’energia corre veloce tra i Ghat, si arrampica per le ripide scalinate, volteggia insieme a gabbiani e cormorani sul fiume sacro, si getta nelle candele e le alimenta in un fuoco colorato e vibrante, quello dei candelabri delle cerimonie, delle bocche d’oro dei cobra che si muovono sinuose con il loro cerimoniere, quella stessa energia che si ferma in forma di profonda reverenza a Kashi Vishwanath, templio dedicato a Shiva, uno dei dodici luoghi più sacri e carichi di mito per gli induisti.
Infatti, Brahma e Visnù, senza nessun riferimento a Zeus, Poseidone e Ade, litigano per la supremazia sul creato. Giudice della disputa Shiva, il quale trafisse i tre mondi con una immensa colonna di luce, lo jyotirlinga. La sfida era ormai scritta, quello che tra i due fosse arrivato per primo alla fine della colonna di luce avrebbe avuto il controllo sulle cose del mondo. Visnù e Brahmā provarono senza successo a raggiungere la fine. Visnù ammise la sconfitta, Brahmā scelse la via della menzogna. Shiva furioso, maledisse Brahmā affinché il suo culto fosse distante dalla mano dell’uomo, manifestandosi nella forma della colonna di luce, lo jyotirlinga. Il resto lo farà l’uomo con i mantra e le corone dei fiori freschi.
In India c'è il Taj Mahal, il tempio di un amore non costruito per essere goduto in vita, ma per accogliere una tomba. C'è qualcosa di estremamente macabro nel voyeurismo della morte e di paradossale dal momento che il paese che non conserva i corpi dei morti né ha due che tutti visiteranno per sempre, mausoleo e moschee erette da un sovrano straniero, un conquistatore. Il Taj Mahal non ha il Wow Effect e nemmeno l’instagrammabile brivido di emozione di una meraviglia del mondo, ma non può, in una giornata di inizio anno senza nuvole, non strapparci un sorriso, un battito di ciglia e un avanzo di onnipotenza di chi ha voluto essere ricordato per sempre.
Nell’India degli Stati del nord ci sono ovviamente tantissime città, tra cui Jaipur e Orchha e Khajuraho con i templi del Kamasutra e poi ci sono le statue monolitiche dei santi Jainisti a Gwalior, le fortezze, le moschee, i palazzi, i minareti. In India c'è tutto in una versione esponenzialmente invadente, il traffico, i clacson, gli animali che sono ormai perfettamente inseriti nel sistema città: attraversano le strade, usano i fili della corrente come liane e scippano i passanti. Una leggenda dice che il curry sia stata la prima pietanza al mondo, cucinata da una donna per la persona amata. Io a questa leggenda ci voglio credere ciecamente mangiando e odorando di curry insieme alle persone a cui voglio bene.
In India ho conosciuto volti senza tempo custodi di anime eterne, bambini già adulti e adulti bambini nel vedere me con il colore della pelle tanto diversa dalla loro.
In India ho conosciuto Cristina, una fantastica compagna di viaggio che mi ha permesso con la sua amicizia di vivere tutto questo al meglio della mia persona e della mia condizione, dico grazie a lei e all'India perché la lezione che porto a casa è quella di un sì energico alla vita, alle piccole cose, ad una felicità non certo occidentale ma non per questo meno meravigliosa e straordinaria.















