Sardegna, alla scoperta di un mondo ricco di storia e tradizione: il nuraghe Su Nuraxi a Barumini tra rivelazioni, misteri e passioni
Giovanni Bosi, Barumini / Sardegna
A vederlo dall’alto è un meraviglioso intreccio di cerchi avvolgenti e pietre incastrate. Linee dolci e armoniose, sinuose e potenti. Ma solo apparentemente lo si potrebbe definire un caos improvvisato, perché questo luogo è stato un crogiuolo di cultura, arte e tradizioni che ancora oggi deve essere completamente rivelato. E allora è altrettanto meraviglioso pensare questo luogo brulicante di vita. A Barumini, in Sardegna, il nuraghe Su Nuraxi ti conduce alla scoperta di un mondo ricco di storia.
(TurismoItaliaNews) Su Nuraxi non è un sito archeologico qualunque. Nel senso che è il testimonial di un popolo affascinante quanto ancora misterioso. A due passi da Barumini, nella regione collinare miocenica della Marmilla, ai piedi del tavolato basaltico della giara di Gesturi, è il più noto e maestoso complesso nuragico della Sardegna, dal 1997 inserito dall’Unesco nel Patrimonio mondiale dell’umanità. Sin qui il biglietto da visita geografico del luogo. Ma la vera essenza di questo meraviglioso mosaico di pietre la puoi comprendere soltanto trovandoti al suo cospetto, aggirandoti nei percorsi del “fortilizio” in cui spicca la torre principale, delimitata da un vasto cortile e da quattro torri, e ciò che resta del vasto villaggio di capanne che lo precede.
Ma cos’è esattamente Su Nuraxi e chi lo animava? Perché è stato costruito? Ancora oggi le risposte non sono univoche e neppure complete, alimentando l’alone di fascino e di mistero intorno a questo sito scoperto e portato alla luce nel corso degli anni Cinquanta durante gli scavi condotti dal grande archeologo Giovanni Lilliu. E cioè un imponente nuraghe complesso, costruito in diverse fasi a partire dal XV secolo a.C., e da un esteso villaggio di capanne sviluppatosi tutto intorno nel corso dei secoli successivi. “Sin dai primi attimi nei quali ci si avvicina a questo piccolo centro della Marmilla si respira un’aria particolare, quella di un luogo speciale, deputato sin dall’antichità a sede del potere e parte centrale di un territorio florido e ricco di meraviglie nonché via di comunicazione fondamentale” ci spiegano durante la visita. Una sottolineatura di non poco conto. Anche perché ti viene la pella d’oca a pensare quanto ingegno, quanta maestria e quanta perizia siano stati spesi dalla gente che l’ha creato dal nulla. Ecco perché Su Nuraxi non è il consueto sito archeologico a cui siamo abituati in Italia. Qui in Sardegna c’è un patrimonio unico e irripetibile.
La civiltà nuragica. Il cardine di tutto è proprio questa civiltà, sviluppatasi sull’Isola in un arco cronologico di un migliaio di anni, tra il 1500 e il 500 a.C, dando corpo ad una struttura sociale complessa e articolata, caratterizzata da comunità probabilmente suddivise in classi sociali alle quali appartenevano le famiglie o clan. Il nome che la distingue deriva proprio dal monumento più caratteristico del periodo, il nuraghe, termine che si traduce in “mucchio di pietre” e “cavità”, e che indica in pratica un tipo di architettura militare con mura turrite. Pensate che in Sardegna sono stati censiti oltre 7.000 nuraghi (fra torri singole e nuraghi complessi) e nel solo territorio di Barumini ce ne sono una trentina. “La loro costruzione in Sardegna – ci spiegano ancora - avviene principalmente tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente con una funzione strettamente militare; molto simili ai castelli medievali, pur essendo più antichi di quasi 3.000 anni, servivano, infatti, per difendere il territorio circostante. Successivamente verranno riadattati e riutilizzati fino all’età del Ferro, e talvolta saranno impiegati anche dalle popolazioni che subentreranno a quella nuragica”.
Il complesso presenta diverse fasi costruttive. Su Nuraxi evidenzia infatti una stratificazione culturale di oltre 2.000 anni, con diverse fasi evolutive riscontrabili dalle strutture e dai prodotti della cultura materiale; il principale materiale utilizzato per la sua costruzione è il basalto, una pietra vulcanica molto dura proveniente dall’altopiano della Giara. Se mastio e bastione quadrilobato sono il pezzo forte del sito (databili tra la fine del XV e l’inizio del XIII secolo a.C.) non da meno è il villaggio circostante cresciuto nel corso dei secoli: più di 200 capanne, edificate in diversi periodi e utilizzate fino all’età tardo-romana, originariamente coperte con travi in legno a raggiera e frasche e conservate in parte dell’elevato in pietre di basalto e marna. “Focolari, giacigli, ceramiche di uso quotidiano, sistemi di canalizzazione delle acque ed un pozzo testimoniano che in queste si svolgeva la vita comunitaria – ci dice la nostra guida - in alcuni ambienti sono stati rinvenuti elementi riferibili ad uso rituale”. E fra le capanne se ne distingue una, la numero 135, sotto il cui pavimento sono stati rinvenuti pozzetti votivi. Un’altra degna di nota è la capanna 80 con un sedile circolare e di nicchie, per questo denominata “Sala del Consiglio” sulla base dell’ipotesi che vi si svolgessero riunioni di carattere civile e religioso da parte degli anziani del villaggio presieduti dal capo. E dentro è stato rinvenuto un modellino litico di nuraghe.
Le sensazioni più impressionanti. Si hanno però quando si entra nel fortilizio vero e proprio attraverso un percorso da Indiana Jones, scoprendo percorsi, anfratti, nicchie, feritoie e ogni altro segreto costruttivo del nuraghe gigante, di forma troncoconica slanciata, originariamente alta più di 18 metri ed attualmente di 14,10 metri, con tre camere sovrapposte (di cui quella superiore ridotta al contorno perimetrale di base), costruite con filari di pietre in basalto, degradanti verso l’alto, messe in opera a secco una sull’altra. Incredibile. Nel cortile si aprono anche gli ingressi alla torre centrale e alle torri laterali e la porta sopraelevata collegata alla scala che conduce alla sommità del bastione. E’ quando arrivi in cima che ti rendi conto dell’effettiva consistenza dei ritrovamenti, che si allargando a macchia d’olio intorno al “gigante di pietra”, che a distanza di tempo conserva la sua monumentalità e una grande forza evocatrice.
Ma cos’è accaduto poi? Nel quinto secolo a.C. alla civiltà nuragica è subentrata l’occupazione punica e gli abitanti del luogo sono entrati in contatto con una cultura diversa. A parte il progressivo apporto di materiali dalle città puniche, l’aspetto fisico del villaggio e il modo di vita degli abitanti non subirono un grosso mutamento, ma senza in realtà un ulteriore sviluppo. Condizione trasformatasi poi in decadenza graduale dell’abitato e calo demografico conseguente. Nel periodo storico, II-I secolo a.C., l’insediamento è stato riutilizzato e riadattato anche dai Romani, che in alcuni casi usarono certi ambienti come luogo di sepoltura. La struttura continuò ad essere abitata fino al III secolo d.C. e successivamente frequentata sporadicamente fino al periodo alto-medievale, VII secolo d.C.
E tuttavia la civiltà nuragica è stata a lungo dipinta come una civiltà chiusa in se stessa, refrattaria ad ogni tipo di contatto culturale con il mondo esterno, le evidenze archeologiche hanno dimostrato ormai da tempo, che le cose stavano in realtà diversamente: la civiltà nuragica infatti non doveva essere affatto isolata e chiusa, ma pienamente inserita nelle dinamiche di scambi commerciali e, più in generale, culturali che caratterizzavano la vita nel Mediterraneo in quel periodo. E di certo c’è ancora da capire molto di più su questa popolazione… Ad esempio: potevano essere anche dei navigatori? Per molti archeologici una prima risposta positiva appare niente affatto azzardata… Insomma, work-in-progress…
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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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