L’agricoltura lunare comincia qui: dalla polvere al raccolto, ricercatori norvegesi studiano le opportunità con Esa
Angelo Benedetti, Roma
Immaginare campi coltivati sulla Luna non è più soltanto fantascienza, ma un obiettivo concreto della ricerca spaziale europea. Restare a lungo sul nostro satellite naturale significherà, infatti, imparare a vivere di ciò che si trova lì, senza dipendere costantemente dalle risorse terrestri. Tra le sfide più affascinanti e complesse di questa prospettiva c’è quella di produrre cibo direttamente sulla superficie lunare. È possibile coltivare piante in un ambiente tanto diverso dalla Terra?
(TurismoItaliaNews) A questa domanda ha iniziato a rispondere un gruppo di ricercatori norvegesi della SolSys Mining, sostenuto dal programma Discovery dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Il loro studio, dal titolo evocativo “Enabling Lunar In-Situ Agriculture by Producing Fertilizer from Beneficiated Regolith”, ha esplorato la possibilità di trasformare la polvere lunare in fertilizzante utile alla coltivazione di piante, aprendo nuove prospettive per l’agricoltura idroponica nello spazio. L’approccio è tanto ambizioso quanto ingegnoso: la Luna non possiede terreno fertile, ma il suo suolo – il cosiddetto regolite – contiene elementi minerali essenziali per la vita vegetale, come il fosforo. La difficoltà sta nel separarli dai componenti tossici e nel farlo in modo efficiente, sostenibile e ripetibile. Gli scienziati hanno quindi utilizzato simulanti di suolo lunare disponibili sulla Terra, ricchi di ossidi e silicati simili a quelli reali, sottoponendoli a una combinazione di processi meccanici, chimici e biologici.
Il risultato è stato sorprendente: attraverso l’uso di acidi e altre sostanze reattive, il team è riuscito a estrarre diversi nutrienti minerali, analizzati poi con sofisticate tecniche di laboratorio come la spettrometria al plasma (Icp). Nelle soluzioni ottenute sono comparsi elementi vitali per la crescita delle piante, dimostrando che la regolite può effettivamente essere trasformata in una fonte di fertilizzante. Ma la ricerca non si è fermata qui. SolSys Mining ha sperimentato anche con sottoprodotti derivati da altri processi di estrazione di ossidi metallici, riuscendo a ottenere nutrienti vegetali anche da questi scarti. Ciò apre la strada a un uso ancora più efficiente delle risorse locali, nel pieno spirito della In-Situ Resource Utilisation (Isru), la filosofia che guida la progettazione delle future colonie spaziali autosufficienti.
Per l’European Space Agency il progetto rappresenta un passo fondamentale verso una visione integrata della vita lunare: non solo estrarre e produrre materiali utili, ma creare veri e propri cicli di utilizzo sostenibile. Come spiega Malgorzata Holynska, ingegnere dei materiali e responsabile Esa del progetto, “il team ha mostrato come potremmo realizzare processi chimici direttamente sulla Luna e quali prodotti potremmo aspettarci. Il prossimo passo sarà ottimizzare le proporzioni e le concentrazioni, perché non basta estrarre i minerali: devono avere valori precisi per sostenere la vita vegetale”. Anche per SolSys Mining questa collaborazione ha avuto un valore speciale. L’azienda, giovane e nuova nel settore spaziale, ha potuto confrontarsi con la comunità scientifica europea, sviluppando nuove competenze e prospettive. Come racconta la ceo Ethel Tolentino, “il progetto ci ha permesso di affrontare una sfida unica: estrarre nutrienti per piante dal suolo lunare eliminando gli elementi tossici, di fatto sviluppando una produzione di fertilizzante per la Luna. Il finanziamento Esa Discovery è stato essenziale per farci entrare nel mondo spaziale e ci ha aperto nuove opportunità commerciali. L’agricoltura lunare sarà un elemento chiave per la presenza permanente dell’uomo sul nostro satellite”.
Guardando al futuro, l’azienda prevede di creare un nuovo simulante di suolo lunare basato sulla propria esperienza, migliorando le caratteristiche dei materiali attualmente disponibili. L’obiettivo è costruire basi sempre più affidabili per le ricerche successive, e magari, un giorno, vedere germogliare le prime piante sotto il cielo argentato della Luna. Ciò che fino a pochi anni fa sembrava impossibile – far nascere vita da un terreno alieno – oggi diventa una prospettiva concreta. E forse, tra le silenziose distese lunari, i futuri astronauti potranno un giorno raccogliere il primo frutto coltivato fuori dalla Terra, simbolo di un’umanità capace di adattarsi, innovare e far fiorire la vita anche dove la natura non l’aveva prevista.

