Benvenuti all’inferno: nel villaggio di Canterino e nella miniera di Cabernardi fra storia, lavoro, sacrifici e speranze

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Giovanni Bosi, Sassoferrato / Marche

Ben più di archeologia industriale. In questo lembo di Appennino c’è il cuore di intere generazioni: storia, lavoro, sacrifici e speranze si sono intrecciati indissolubilmente. Per questo oggi il Parco archeominerario di Cabernardi e il villaggio di Canterino, nel Comune di Sassoferrato, costituiscono luoghi assolutamente da conoscere e da apprezzare. In primo luogo per quello che hanno rappresentato, e poi per lo sforzo di tanti nel voler salvaguardare e tramandare pagine importanti del vissuto di queste zone delle Marche. Quando si parla di miniere, si parla inevitabilmente di vita durissima per i protagonisti. Benvenuti all’inferno, si potrebbe dire…

 

(TurismoItaliaNews) Quando si arriva a Canterino ci si rende subito di non trovarsi in un posto qualsiasi. Intanto per il suo assetto urbanistico sviluppato intorno ad una strada principale con una serie di fabbricati che non hanno nulla a che fare con la tipologia del classico borgo medievale marchigiano. E sì: un’anomalia, perché Canterino ha appena cento anni e oggi vivono qui solo otto persone, dopo essere stato creato dal nulla nel 1919 dalla Montecatini come villaggio dei minatori. Siamo infatti nella zona che in passato è stato il centro minerario più grande d’Europa, votato all’estrazione dello zolfo, con una produzione massima di 60.000 tonnellate di materiale fuso.

Canterino, il villaggio dei minatori

Canterino, il villaggio dei minatori: di notte le suggestioni aumentano

I punti di riferimento sono le località Cabernardi, Vallotica e la stessa Canterino, villaggio che ora si potrebbe definire “fantasma” se non fosse per la volontà di mantenerlo vivo e vitale per consentirgli di continuare a raccontare la storia di cui è alfiere. E che lo lega alla miniera di Cabernardi e della raffineria di Bellisio Solfare. Arrivando qui al tramonto, le suggestioni aumentano e davanti a noi si delinea quasi uno scenario surreale. E conoscere l’intera storia ci fa entrare in un’altra dimensione: a raccontarcela è Patrizia Greci, presidente dell’associazione culturale La Miniera Onlus ma soprattutto figlia di un minatore. Parlare di Canterino e di Cabernardi, per lei è come parlare della propria vita. Lei che è stata testimone oculare di quel duro lavoro che quotidianamente impegnava le centinaia di addetti, così come del vivere in quelle “unità abitative” (perché definirle appartamenti sarebbe improprio) calibrate al minimo e dove potevano vivere anche più di una decina di persone assiepate.

Attraverso le parole di Patrizia si entra subito in quell’atmosfera, perché a parlare è perfino quello che abbiamo davanti ai nostri occhi, compresa la “goluppa” in cui i minatori riponevano le poche cose da portarsi sottoterra per mangiare: un fazzolettone a quadretto con un pezzo di pane scavato e riempito con la frittata, un frutto e l’acetello, ovvero acqua e aceto, più per disintossicarti che per dissetarsi realmente. I miasmi dello zolfo – in miniera, ma anche all’esterno – erano insopportabili. Anzi, c’era talmente tanto pulviscolo che in questa zona all’epoca non crescevano più neppure gli alberi.

La "goluppa" dei minatoriIl "libro di matricola" del minatore Giuseppe Cicetti

Canterino, la chiesetta dei minatori

Canterino, nella chiesetta dei minatori c'è la statuina di Santa Barbara che si trovava all'interno della miniera di Cabernardi

Sassoferrato, lo zolfo estratto dalla Miniera di CabernardiE’ a partire dal 1917 che la Montecatini, concessionaria della miniera di Cabernardi, ha iniziato a costruire le prime case-dormitorio per alloggiarvi i minatori immigrati: piccoli fabbricati ad un solo piano, divisi in quattro unità di circa 20 mq, composte ognune da due stanze, con gabinetti esterni in comune. Con l’arrivo delle prime famiglie sono stati aggiunti gli edifici più alti ai lati; l’ultimo fabbricato ad essere costruito nel 1929, è il “Palazzo” detto “Cattedra” a tre piani, una doppia scalinata di accesso e ballatoi esterni (che tipici delle periferie delle città industriali del nord che di questa zona delle Marche). Le tre vie principali e la piazzetta Mezzena sono state intitolate a dirigenti della Montecatini.

“Nel 1919 Canterino era soltanto una collina al piedi del Monte Doglio” ricorda Patrizia Greci. Grazie all’associazione “La Miniera” il villaggio è completamente recuperato ed efficiente come un tempo. Gli alloggi sono stati riscattati dagli ex minatori o dai loro discendenti e c’è la possibilità di visitarne uno, rimasto come “cristallizzato”: è quello in cui abitava Giuseppe Cicetti, di cui si possono ancora vedere il libretto di paga e tanti effetti personali che ci fanno tornare indietro di mezzo secolo. E c’è anche la Chiesetta del Minatore, realizzata nello spazio che una volta era lo spaccio, dove è custodita la statuina di Santa Barbara proveniente dal XIII livello della miniera di zolfo. Guardarla commuove: il pensiero corre alle tante preghiere che le saranno state indirizzate. Ogni giorno in miniera era una scommessa: si procedeva lentamente con lo scavo perché le insidie erano sempre in agguato e a dimostrarlo ci sono i 130 caduti sul lavoro; ogni metro “strappato” alla pancia della montagna andava messo in protezione con una serie di architravature in legno, ma il più subdolo era il grisù…

Sassoferrato, la Miniera di Cabernardi

Sassoferrato, la Miniera di Cabernardi: oggi è un parco archeominerario

Tutto era cominciato nel 1887 e tutto è finito nel 1952 quando la Montecatini, giustificando la decisione con il graduale esaurimento del minerale solfifero nel bacino di Cabernardi, ha stabilito di licenziare 860 operai e la progressiva riduzione dell'attività estrattiva. Il 28 maggio dello stesso anno oltre 300 operai, come forma di lotta, decidevano l’occupazione delle miniere di Cabernardi e Vallotica: 176 minatori rimanevano nelle gallerie del 13° livello (a più di 500 metri di profondità), mentre altri 161 si fermavano nei cantieri all'esterno. Ma la lotta fu vana. La guerra era finita e nonostante altri tipi di utilizzo, lo zolfo (impiegato per fare esplosivi) non era più così indispensabile; la stessa tecnica estrattiva applicata qui risultava meno competitiva di quella di altri Paesi del mondo.

La miniera di Cabernardi è più in basso rispetto a Canterino, a una manciata di chilometri. L’insieme oggi, compreso il museo, costituisce un perfetto sistema di documentazione: è questo il Parco archeominerario. All’interno di un suggestivo scenario naturale, offre un’esperienza di visita unica, permettendo di attraversare i luoghi e gli impianti di estrazione dello zolfo, l'oro giallo di Cabernardi. Grazie ai recenti lavori di restauro sono visitabili buona parte delle strutture fuori terra, tra cui i calcaroni, i forni Gill, la centrale a vapore, il piano inclinato per il traino dei vagoncini, la galleria di servizio e l’ingegneristico pozzo Donegani.

Sassoferrato, il Museo di Cabernardi

Sassoferrato, la Miniera di CabernardiUn obiettivo raggiunto (e per il quale si continua a lavorare) nel quale accanto all’associazione “La Miniera” ha avuto un ruolo strategico il Comune di Sassoferrato, oggi guidato dal sindaco Maurizio Greci. Ugo Pesciarelli, precedente primo cittadino ed ora presidente dell’Unione Montana Esino-Frasassi, ne ha seguito passo passo l’attuazione: “Questa realtà – ci dice Pesciarelli – non si configura soltanto come un omaggio e un ricordo del passato, ma come un’opportunità di rilancio, in particolare per i riflessi positivi che la realizzazione dell’opera, apprezzabile sotto il profilo storico-museale, potrà produrre ai fini dello sviluppo turistico della zona. E’ una realizzazione che il Comune di Sassoferrato e l’Ente Parco dello zolfo delle Marche hanno fortemente voluto”.

La visita della miniera di Cabernardi, ugualmente di notte, dopo essere passati per Canterino, è straordinaria. Sembra quasi di vedere i minatori al lavoro, di sentire le loro voci, i rumori del cantiere, i cigolii di argani e carrelli. Quando l’attività è cessata, la Montecatini ha smantellato la quasi totalità delle attrezzature sotterrando sotto strati di terra quel che rimameva. Con l’effetto che adesso c’è ancora molto da vedere, persino la possibilità di percorrere una delle gallerie indossando il caschetto d’ordinanza per comprendere come si lavorava e cosa dovevano provare i minatori. Restano i calcheroni, grossi forni circolari e profondi realizzati interamente in muratura in cui lo zolfo si accumulava man mano che veniva estratto dal sottosuolo e poi veniva bruciato: il liquido che colava veniva incanalato negli stampi per formare i “pani” di zolfo, del peso di circa 50 kg ognuno. Si vede il pozzo Donegani (così denominato in onore di un ingegnere della Montecatini) che consentiva agli operai di scendere in miniera fino al 13° livello (ogni livello era circa di 30 metri) per mezzo di gabbie e ascensori, manovrati da personale specializzato. E' il simbolo della miniera di Cabernardi e, tra le strutture ancora esistenti, è forse quella più suggestiva. Si possono vedere i forni Gill, chiamati così dal nome dell’inventore, utilizzati per la combustione dello zolfo estratto e simili ai calcaroni, ma costuiti da gruppi di 4 o 6 celle in muratura comunicanti e permettevano di recuperare meglio il calore prodotto dalla combustione.

Sassoferrato, la Miniera di Cabernardi

Sassoferrato, la Miniera di Cabernardi

Sassoferrato, la Miniera di CabernardiSassoferrato, la Miniera di Cabernardi

Visitare la miniera di Cabernardi, il suo museo e il villaggio di Canterino è insomma una grande esperienza da vivere: per conoscere pagine di storia avvincenti, complicate e drammatiche. E per apprezzare testimonianze di un amore senza tempo.

L'Unione Montana dell'Esino-Frasassi è costituita tra i comuni di, Cerreto d'Esi, Fabriano, Sassoferrato, Serra San Quirico; è un ente locale di diritto pubblico, nonchè agenzia di sviluppo e di governo del territorio, nel quadro delle normative e delle iniziative comunitarie, nazionali e regionali, concorre alla programmazione ed all'esecuzione degli interventi al fine di eliminare gli squilibri di natura economica e sociale fra le zone montane ed il resto del territorio.

Per saperne di più
minieracabernardi.it
comune.sassoferrato.an.it
cmesinofrasassi.it

Sassoferrato, la Miniera di Cabernardi

 

 

Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
(A.F.)

 

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