Uzbekistan, Khiva: ecco la città dai minareti a tronco di cono
Giovanni Bosi, Khiva / Uzbekistan
La suggestione più grande è arrivare a Khiva in piena notte. Tutto intorno il buio sembra avvolgere in una sorta di abbraccio protettivo la cittadina rinchiusa nelle sue mura possenti circondate dalla steppa, mentre sopra la nostra testa e sui grandi minareti a forma di tronco di cono, il firmamento brilla più che altrove. L’impressione è di trovarsi catapultati nell’atmosfera delle Mille e una notte. Khiva è silenziosa e attende il sole che tornerà a far scintillare i mattoni verdi smaltati a vetro che rivestono le sue alte torri. Qui siamo sulla Via della Seta, la strada percorsa anche da Marco Polo.
(TurismoItaliaNews) La sensazione è quella di entrare nella storia. Incute una forma di rispetto attraversare una delle Porte che immettono nella città vecchia, la cosiddetta Ichan Kala, e che si aprono sulle mura alte tra gli 8 e i 10 metri. E ogni 40 metri, lungo il perimetro dell’abitato, si trova una torre fortificata. Numeri che la dicono lunga sul sistema di protezione di Khiva, di fatto una delle città antiche dell’Asia centrale e che per la sua omogeneità si differenzia da Samarcanda o Bukhara. Dal 1990 il centro storico è stato inserito dall’Unesco nella lista del Patrimonio mondiale dell’Umanità: sono ben 50 i monumenti storici e quasi 250 le costruzioni realizzate tra il XIV e il XIX secolo, arrivate ben conservate fino ai nostri giorni. Per vedere tutto c’è da camminare: basti considerare che la superficie della Ichan Kala sfiora i 26 ettari.
Come spesso accade nelle città, anche qui le Porte (costruite durante il regno di Mukhammad Amin Inak) prendono il nome dalla direzione di arrivo: la porta a nord (Bakhcha Darvaza), la porta a sud (Tash Darvaza), la porta a est (Palvan Darvaza) e la porta ad ovest (Ota Darvaza). Oggi sono rimaste solo la Kusha Darvaza (chiamata la porta di Urgench) e la Kui Darvaza (nota come la porta di Khazarasp).
Sulla fondazione della città vi sono molti racconti e leggende e una di queste viene fatta risalire addirittura ai tempi del Diluvio universale: Sim, figlio di Noè, mandò un cigno e un colombo a cercare la terraferma. Quando vide la terra il cigno esclamò "Kushiak" o "Kuvak" mentre il colombo sbattè le ali. La terra trovata venne poi chiamata "Khivak".
Ma al di là degli aneddoti non c’è alcun dubbio sulla datazione antica di Khiva e le testimonianze orali tramandate nel tempo la collocano nel primo millennio. Già nel 712 la cittadella fu invasa dagli arabi, nel 1221 venne sottomessa al dominio mongolo, nel 1389 entrò a far parte dell'impero di Tamerlano per poi diventare nel XVI secolo la capitale del khanato di Khorezm. Nel Settecento Khiva si ritrova in rovina durante l’invasione dello scià iraniano Nodirscià, mentre nel 1804 ha di nuovo tutto il suo splendore con l’avvento al potere della dinastia Kungrad.
Le sensazioni più belle Khiva le riserva quando di buon mattino si passeggia per le sue strade. Le donne della cittadella mostrano i loro lavori artigianali e sperano di convincerti ad acquistarne almeno uno. C’è davvero di tutto, molti oggetti arrivano addirittura da molto lontano: colbacchi, cappelli di Astrakhan, marionette, coloratissime statuine di sorridenti pasha, ceramiche, borse, calze di lana, complicatissimi leggii ricavati da un unico pezzo di legno intagliato, tappeti e stoffe uscite dal telaio azionato da mani sapienti. Tutto questo è retaggio degli antichi commerci sviluppatisi lungo la Via della Seta, che da Roma toccava Istanbul, Bukhara, Xian e Pechino e Shanghai, con diverticoli a sud in direzione di Aleppo, Damasco, Il Cairo e Alessandria d’Egitto oppure verso Baghdad, Kabul e Delhi. Una fittissima rete di scambi che riguardava le merci quanto il sapere.
Come si raggiunge
La compagnia Uzbekistan Airlines collega con moderni aeromobili Roma Fiumicino con la capitale Tashkent. A Khiva si può arrivare con un volo interno di poco più di un’ora fino a Urgench e da lì raggiungerla dopo aver percorso poche decine di chilometri. Alberghi sono disponibili sia all’interno della cittadella che nella fascia immediatamente circostante la zona antica. Gli euro sono accettati, anzi sono preferiti alla moneta locale, il sum. Occhio perché la cucina non è il punto di forza dell’Uzbekistan, ma se vi piacciono le zuppe siete già un passo avanti. |
Da vedere, si diceva, c’è molto, come la madrasa di Mukhammad Amin-khan, costruita tra il 1851 e il 1854, con la facciata decorata con mattonelle smaltate a vetro, oggi sede di un albergo; il minareto incompiuto Kalta-Minar rivestito con mattonelle smaltate a vetro e maioliche; e ancora la Kunya Ark, complesso reale la cui edificazione iniziale risale al 1686 – 1688; la madrasa di Mukhammad Rakhim-khan II del 1871; la straordinaria moschea Djuma con le porte e le colonne di legno intagliate a mano nel 1316, 1517, 1788 e 1789. E poi il complesso architettonico del poeta Palvan Makhmud, uno dei capolavori dell'architettura di Khiva della meta del XIX secolo che rispecchia le tradizioni architettoniche del periodo precedente a Tamerlano; il palazzo Tash-Khaui (1830 – 1838), edificio principale dei khan di Khiva; il minareto di Islam Khodja, alto 46,6 metri; il caravanserraglio, il minareto Seyid Allauddin del IX secolo, la madrasa di Matniyaz Devan-beghi con le dieci khudjra (celle d'abitazione), una darskhana (aula), una moschea invernale e un'altra estiva. Nel cortile di Rakhim Khan si può assistere allo spettacolo di una famiglia di acrobati e danzatori. Tutto è straordinario: gli incastri dei mattoni, i soffitti decorati, le colonne intagliate, il colore blu che prevale e che sembra fondersi al colore intenso del cielo.
Lungo la strada incontriamo dei bambinetti vestiti a festa che insieme alla famiglia si recano alla moschea per un’offerta. Per i piccoli è il giorno della circoncisione, per tutti i familiari è l’occasione per celebrare una tradizione che si tramanda da secoli. L’Uzbekistan formalmente è un Paese musulmano ma religione e fede non sono all’ordine del giorno come un tempo, complice la massiccia operazione di laicizzazione condotta dai sovietici in quella che si è rivelata una vera e propria occupazione. Usciamo da una delle porte e ci voltiamo a guardare: sotto il sole Khiva sembra una castello di sabbia. Ma la sua tempra è forte come l’acciaio. Lo dice la storia.
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