Campobasso, le Città del Tartufo ribadiscono la mission: la candidatura Unesco della cerca e della raccolta del tartufo un patrimonio dei territori
Giovanni Bosi, Campobasso / Molise
Tanti territori, tanti dialetti, un unico obiettivo condiviso. A Campobasso l'associazione italiana delle Città del tartufo fa il punto sulla candidatura della cerca e della raccolta di questo prodotto spontaneo della terra a patrimonio immateriale dell'Unesco: tradizione, riti atavici, tutela dei boschi, valorizzazione dei borghi, trasmissione di valori e segreti di generazione in generazione, sono gli aspetti peculiari di questa preziosa conoscenza che è tutta italiana. Anzi: un orgoglio del Belpaese nel mondo.
(TurismoItaliaNews) Non è un caso che l'iniziativa si sia svolta a Campobasso, città assolutamente da conoscere un po' alla volta, godendosi la sua slow life, perdendosi nelle sue stradine medievali come nei suoi viali ottocenteschi, nelle sue piazzette e nei suoi grandi spazi aperti, con scorci imprevedibili come il Castello Monforte. Il Molise è di fatto il primo “produttore” di tartufi pregiati in Italia ed ecco spiegato perché questa Regione è l'unico ente di tale calibro a far parte del sodalizio che dal 1990 riunisce oltre 50 realtà che si riconoscono nei valori dell'associazione stessa. Valori che si ritrovano per intero nel dossier spedito a Parigi lo scorso marzo per ufficializzare la candidatura all'Unesco, ovviamente con il disco verde del Mibact, e per la quale si è in attesa del verdetto previsto per la sessione di dicembre 2021.
Un cammino, come ha sottolineato a Campobasso il presidente Michele Boscagli, che costituisce già di per sé un patrimonio culturale delle Città del tartufo, tenuto conto che la preparazione della copiosa e certosina documentazione inviata all'agenzia Onu ha reso necessari studi, ricerche, approfondimenti, focus, interviste da nord a sud dello Stivale, confermando ulteriormente come cerca e raccolta del tartufo vada ben oltre l'utilizzo a tavola o il risvolto economico della commercializzazione.
Anzi, a ben guardare (e questo spiega il perché del via libera arrivato con convinzione dal ministero dei Beni culturali e del turismo) li si potrebbe considerare solo l'ultimo aspetto: come ha tenuto a sottolineare la dottoressa Elena Sinibaldi del Mibact - che ha seguito in prima persona la costruzione del dossier in stretta relazione con le Città del Tartufo, il presidente Boscagli, il direttore Antonella Brancadoro e i tanti altri attori come i cavatori, protagonisti di questo patrimonio etnologico – qui si specchiano identità culturale e tradizione, persino quella mitologia che si perde nella notte dei tempi. “Conoscenze e pratiche che hanno a che fare con la natura, quindi conoscenza e saperi trasmessi da generazioni. La buona pratica permette la sostenibilità, integrare più dimensioni come ambiente, economia e sociale”. E a far comprendere come questa bella storia tutta italiana sia trasversale e multidisciplinare si deve consenderare che all'aggiornamento del dossier all'attenzione dell'Unesco hanno lavorato insieme ad Anct anche i ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura.
La candidatura, ondivisa praticamente da tutti, trova l'entusiastico sostegno della Regione Molise, guidata dal governatore Donato Toma e in particolare dell'assessore all'agricoltura Nicola Cavaliere. In questa strana estate 2020 la regione e i suoi borghi sono stati scelti da tantissimi turisti arrivati da ogni parte d'Italia confermando la sua vocazione all'accoglienza e alla qualità. “Questa candidatura – ha detto tra l'altro l'assessore regionale Cavaliere – è un progetto grandissimo, ambizioso e strategico per il Molise che fa della salvaguardia della propria biodiversità un obiettivo fondamentale, inserito nelle linee programmatiche del governo regionale”.
Assistere da “esterni” ai lavori dell'assemblea (svoltasi con una nutrita rappresentanza delle Città associate, nel rispetto delle ferree regole imposte dalla pandemia in atto) ha fornito a chi scrive la conferma di quanto il raggiungimento del riconoscimento Unesco sia un un traguardo fondamentale per tutto il Paese, perché la cerca e la raccolta del tartufo, il binomio inscindibile e irrinunciabile tra uomo e cane, la connessa tutela del territorio e la trasmissione di saperi nel tempo, parlano di noi al resto del mondo. Un percorso che naturalmente vede attori principali anche le associazioni dei cavatori e la sua Federazione nazionale.
Tutela del territorio si diceva: in Molise è attiva un'esperienza di grande interesse proprio grazie alla Regione che ha attivato il Centro di ricerca e sperimentazione per la produzione di piantine tartufigene di Campochiaro, procedimento molto delicato al quale collaborano in sinergia numerosi esperti del settore. Un sostegno concreto al settore attraverso l'introduzione in natura di piantine micorizzate assolutamente tipiche dei territori locali, come il cerro, la roverella, il nocciolo, il carpino nero o il cisto villoso. Un'azione di cui beneficia il paesaggio del Molise, rimasto intonso nel tempo e da mantenere dunque così com'è. Ma accanto a luoghi in cui la raccolta avviene da sempre (si pensi a Piemonte, Toscana, Umbria e Marche) ci sono anche territori dove la pratica si sta imponendo come ulteriore conoscenza da tramandare: in Sicilia ad esempio, dove si impegnano sempre più giovani come accade a Capizzi piuttosto che a Castelbuono.
E se si considera I tempi complicati che stiamo vivendo, ecco che I borghi più piccoli diventano una risposta naturale nel dopo-pandemia, quantomeno come stile di vita. Del resto il manifesto dell'associazione è chiaro: essendo composta esclusivamente da istituzioni pubbliche, l’associazione delle Città del tartufo è portatrice di interessi generali legati ai territori di produzione ed è sorta con lo scopo di superare le contrapposizioni campanilistiche e per favorire la promozione degli stessi territori attraverso una comune azione di tutela e valorizzazione: “Attraverso il tartufo, legato ai vari territori italiani dove rappresenta un’esclusività, l’Associazione promuove le altre risorse ambientali, culturali, storiche, tradizionali ed enogastronomiche che questo prezioso fungo è capace di esaltare e trainare”. Ecco dunque rappresentato al meglio l'Italia, Paese amatissimo nel mondo.
Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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