I segreti di Castel del Monte: l’antico maniero di Federico II capolavoro unico dell’architettura medievale

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Giovanni Bosi, Castel del Monte / Puglia

Già guardandolo da lontano si intuiscono la straordinarietà e la potenza della costruzione. Ma forse l’essenza più vera di Castel del Monte si coglie ponendosi al centro del cortile interno e volgendo lo sguardo in alto, verso il cielo azzurro: è a quel punto che ci si rende conto di essere nel cuore di di quello che è ben più di un castello. Un capolavoro unico dell’architettura medievale, un simbolo carico di simbolismi nella pianura pugliese, nel territorio di Andria.

 

(TurismoItaliaNews) Per arrivare a Castel del Monte si deve attraversare la pianura costellata di ulivi e se non si è mai stati in questo luogo, la curiosità è grandissima, curiosità di comprendere soprattutto come sia stato possibile posizionare un edificio  così possente in un territorio che sembra essere completamente piatto. La risposta arriva all’improvviso, quando a distanza si individua la piccola  altura, praticamente l’unica, su cui si erge maestoso il castello. E’ un banco roccioso, in molti punti affiorante, su cui svetta il più singolare tra tutti i castelli federiciani, noto universalmente per la sua forma ottagonale e carico di simbolismi che da sempre appassionano numerosi studiosi. Quando poi si giunge al suo cospetto, la meraviglia e l’ammirazione sono scontati.


Dal 1996 Castel del Monte fa parte del Patrimonio mondiale dell’Umanità: l’Unesco non ha esitato a riconoscergli “un valore universale eccezionale per la perfezione delle sue forme, l’armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal nord Europa, dal mondo musulmano e dall’antichità classica”. Insomma un capolavoro, che riflette l’umanesimo del suo fondatore Federico II di Svevia. Il primo documento che fornisce informazioni sul castello è datato 29 gennaio 1240 e racconta come Federico II di Hohenstaufen abbia ordinato a Riccardo da Montefuscolo, Giustiziere di Capitanata, che venisse predisposto tutto il necessario per la costruzione di un castello presso la chiesa di Sancta Maria de Monte, oggi scomparsa.

Per capirne di più su Castel del Monte, è necessario approfondire la figura di questo Svevo che, nato nel 1194 a Jesi, ereditò dal padre Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa) la Corona di Germania e dalla madre Costanza (figlia del re Ruggero) quella di Sicilia. Trascorse infanzia e adolescenza a Palermo che, crocevia di diverse razze, religioni e culture, influì sulla mentalità aperta e tollerante del giovane del sovrano. Il quale, profondamente legato al Regno di Sicilia, istituì a Napoli una scuola di diritto e a Salerno una Scuola medica; nell'amata Puglia, ricca di fiumi, boschi e arte, fece edificare castra, palatia, domus solaciorum che tuttora connotano il paesaggio agrario e urbano, costituendo una parte significativa del patrimonio artistico regionale.


Ed è stato così che Federico II è poi diventato mecenate di poeti e artisti, e poeta egli stesso di quella scuola sicula che nel XIII secolo imitò i provenzali nel cantare d'amore; la sua corte di Palermo fu uno splendido centro di cultura. Una figura estremamente all’avanguardia, si direbbe oggi considerando il periodo storico in cui ha vissuto.

E Castel del Monte aggiunge molto al suo “mito”. Mito nel mito, in ogni caso: su ognuno degli otto spigoli si innestano otto torri della stessa forma. Nelle cortine murarie in pietra calcarea locale, segnate da una cornice marcapiano, si aprono otto monofore nel piano inferiore; e sette bifore ed una sola trifora, rivolta verso Andria, in quello superiore. Ma cosa può significare tutto questo? Gli esperti spiegano che l’ottagono è una forma geometrica fortemente simbolica: è la figura intermedia tra il quadrato, simbolo della terra, e il cerchio, che rappresenta l'infinita del cielo, e quindi segnerebbe il passaggio dell'uno all'altro. Nel corso del tempo sono stati attribuiti a questo edificio svariate funzioni, ma con certezza si può dire quello che il Castel del Monte non rappresentava (una residenza, ad esempio) tenuto conto che in pratica non si conosce la sua reale funzione. Il Castello, situato in territorio di Andria, a 540 metri sul livello del mare, è stato costruito in funzione delle ombre proiettate dal sole nei giorni dei solstizi e degli equinozi.


A ben guardare le caratteristiche costruttive sono il frutto di un ingegnoso ragionamento, in cui nulla è lasciato al caso. A partire dall’ingresso: due sottili paraste scanalate con capitelli a crochet sostengono una sorta di architrave prettamente classicheggiante, al di sopra del quale si inserisce un timpano spezzato con motivi decorativi identici a quelli dell’architrave. Nella cortina compresa fra le paraste si apre il portale, provvisto di un’intercapedine per la discesa della saracinesca di chiusura, azionata con carrucole dalla sala soprastante, al primo piano. Ad elementi di richiamo classico (che si ritrovano anche nel Castello di Prato e nella Porta di Capua) si uniscono motivi decisamente moderni come la forma ad ogiva ma anche citazioni romaniche come i leoni rampanti, ormai appena leggibili. Il portale, secondo alcuni, deriva dal pentagono stellato e dalla sua scomposizione per il numero d'oro 1,618, mirando a quella divina proporzione che si ritrova anche nel corpo umano. E quindi il castello sembra essere il simbolo dell’umanità e riveste una funzione iniziatica.

Non meno “misteriosi” gli interni, talmente simili che se non fosse per alcuni punti di riferimento fanno letteralmente disorientare il visitatore. Le sale a piano terra, di dimensioni pressappoco simili, hanno un forma trapezoidale e per la loro copertura è stata adottata una soluzione molto ingegnosa: lo spazio è stata infatti ripartito in una campata centrale quadrata, delineata da semicolonne in breccia corallina e coperta da una crociera costolonata (la funzione è esclusivamente decorativa) e in due aree laterali triangolari, coperte a botte ogivale. In alcune delle sale c’è una monofora a tutto sesto, posizionata molto in alto per sicurezza. Solo la terza e l'ottava sala conservano tracce di grandi camini, mentre i servizi igienici sono presenti nella seconda, quarta ed ottava torre. La terza, quinta e settima torre accolgono, invece, le scale a chiocciola che conducono al piano superiore. Interessanti risultano le chiavi di volta, sempre diverse, quasi sempre decorate da motivi vegetali, fatta eccezione per quella con la testa di fauno, motivo mutuato dal repertorio classico ma interpretato secondo il gusto espressionistico gotico.


Anche le otto sale al primo piano hanno una forma trapezoidale ma si differenziano da quelle sottostanti per l’uso di sostegni trilobati in marmo bianco venato di grigio, con capitelli decorati da elementi vegetali, su cui si imposta un sistema di copertura analogo a quello utilizzato al livello inferiore. Le sale superiori sono inoltre molto più luminose per la presenza di ampie bifore aperte verso il paesaggio circostante; solo quella in direzione di Andria è una trifora. La terza, la quinta e l'ottava sala hanno anche una porta-finestra che si affaccia sul cortile, mentre nella prima, nella quarta e nella sesta sala sono presenti i resti dei grandi camini, affiancati da nicchie rettangolari in breccia corallina che probabilmente servivano per riporre oggetti. Il fulcro centrale è il cortile, caratterizzato da un contrasto cromatico e un tempo abbellito da sculture antiche, di cui restano ormai solo poche tracce.

Purtroppo Castel del Monte non ha sempre vissuto momenti di splendore. A partire dal XVII secolo ha conosciuto un lungo periodo di abbandono, durante il quale il castello ha visto sparire arredi e decorazioni di marmo, fino ad essere tramutato in carcere e persino in ricovero per pastori, briganti e profughi politici. Acquistato nel 1876 dal neonato Stato Italiano per la somma di 25.000 lire, nel 1936 è stato classificato monumento nazionale e nel 1996 è diventato anche Patrimonio dell'umanità. Ma i tanti misteri che aleggiano intorno alle sue pietre, continuano a rimanere tali.


 

Da Castel del Monte tra i boschi di conifere del Parco nazionale dell’Alta Murgia

 

 

Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
mail: direttore@turismoitalianews – twitter: @giornalista3

 

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