[ REPORTAGE ] Vietnam, a Saigon viaggio nel tempo al War Remnants Museum: il passato è un monito per il presente
Giovanni Bosi, Ho Chi Minh / Vietnam
Esplorare un museo che racconta la guerra, la sofferenza, la devastazione e i progetti politici ed economici che ne sono alla base, quasi sempre incomprensibili o perfino frutto della follia, è un’esperienza a doppio senso: dal lato il sentimento di rabbia appare inevitabile, dall’altro si rivela l’ennesima opportunità per comprendere come certi errori non si debbano ripetere. E in un periodo così complicato per l’umanità come l’attuale, non è poco. Non sfugge a queste considerazioni il War Remnants Museum di Ho Chi Minh, la vecchia Saigon. Parliamo di Vietnam.
(TurismoItaliaNews) Diciamo subito che il Vietnam è una meta meravigliosa, particolarmente amata dagli italiani. Per la bellezza dei suoi luoghi, per le storie che racconta, per la generosità dei suoi abitanti. Da nord a sud, il Paese finalmente riunificato è l’espressione tangibile di quel Sud-Est asiatico che morde il mondo con la sua voglia di fare. In tutti i settori dell’High-Tech, auto incluse. Basti considerare la rapidissima crescita di VinFast, la casa automobilistica vietnamita fondata nel 2017 ad Hanoi e filiale del conglomerato VinGroup. Auto dal grande design, visto che i modelli di punta portano la firma di Pininfarina… Questo oggi, ma non è stato sempre così.
Il War Remnants Museum racconta bene quello che è successo nel tempo. La guerra “iconica” parlando di Vietnam è quella che ha visto sul campo gli Stati Uniti, ma in realtà c’è molto dell’altro. Questa terra di cerniera è stata più volte un campo di battaglia. Lo attestano ben più di 20.000 documenti conservati, reperti relativi alla prima guerra d'Indocina e alla guerra del Vietnam. In quasi 40 anni il museo ha accolto oltre 15 milioni di visitatori arrivati sia dall’interno del Paese che dall’estero. Con circa 500.000 visitatori l'anno, è di fatto una delle poche strutture turistiche culturali ad avere un'elevata attrazione pubblica. Perché a ben guardare il racconto avviene con grande dignità, mostrando tutto senza censure ma soprattutto senza nessuna retorica o sete di vendetta verso chi ha provocato tanto dolore. Un documento inoppugnabile di quanto questo popolo laborioso abbia sofferto. E nella guerra peggiore senza neppure comprendere il perché. Ancora oggi.
Gestito direttamente dall’amministrazione di Ho Chi Minh City, una versione precedente di questo museo era stata aperta il 4 settembre 1975, come Exhibition House for Us and Puppet Crimes, non la prima del suo genere per la parte nordvietnamita, ma piuttosto come tradizione di mostre che esponevano i crimini di guerra, prima quelli dei francesi e poi quelli degli americani, che avevano operato nel Paese già nel 1954. Il tempo ha modificato la mission del museo, il cui nome nel 1990 è stato modificato in Exhibition House for Crimes of War and Aggression, eliminando sia “U.S.” che “Puppet” Nel 1995, in seguito alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e alla fine dell'embargo statunitense un anno prima, i riferimenti a "crimini di guerra" e "aggressione" sono stati eliminati anche dalla denominazione del museo, diventato così War Remnants Museum.
La grande struttura che lo accoglie si articola in una serie di sale a tema, con equipaggiamento militare d’epoca che introduce il tema nell’area esterna: un elicottero UH-1 "Huey", un caccia F-5A, una bomba Blu-82 "Daisy Cutter", un carro armato M48 Patton, un bombardiere d'attacco A-1 Skyraider e un bombardiere d'attacco A-37 Dragonfly, oltre a diversi pezzi di munizioni inesplose immagazzinate nell’angolo del cortile (con le loro cariche o micce ovviamente rimosse). Certo è che se i riferimenti espliciti sono stati modificati o rimossi, quel che si vede è fin troppo emblematico della follia umana, come le “gabbie per tigri” in cui il governo sudvietnamita teneva i prigionieri politici. E poi le fotografie accompagnate da un breve testo in inglese, vietnamita e giapponese, che mostrano gli effetti dell’ Agent Orange, l’Agente Arancio, e di altri spray chimici defolianti, l'uso di bombe al napalm e al fosforo e atrocità di guerra come il massacro di My Lai. Tra le “curiosità” una ghigliottina usata dai Francesi e dai Sudvietnamiti per giustiziare i prigionieri, l'ultima volta nel 1960, e tre barattoli di feti umani conservati, deformati dall'esposizione a diossine e composti simili alla diossina, contenuti nel defoliante Agent Orange.
All'interno del museo, i visitatori trovano poi mostre permanenti e temporanee incentrate su eventi che vanno dall'inizio della prima guerra d'Indocina nel 1946 fino alla fine della guerra del Vietnam nel 1975. “. In questo modo – ci spiegano durante la visita - il nostro museo educa il pubblico, in particolare le giovani generazioni, la lotta mentale per l'indipendenza e la libertà del paese, il senso anti-guerra dell'invasione, per proteggere la pace e l'amicizia solidale tra i popoli del mondo. Facciamo parte del sistema museale del Vietnam e siamo membri del Consiglio mondiale dei musei (Icom): con la conservazione e l’esposizione di materiali, fotografie, manufatti sulle prove del crimine e le conseguenze della guerra che le forze di invasione hanno causato al Vietnam, desideriamo contribuire alla costruzione di una pace durevole nel mondo, perché quello che abbiamo sofferto noi vietnamiti non accada più altrove”. Parole che suonano come un monito per un mondo che al contrario, è sempre più belligerante.
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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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