Sulle tracce dei maestri Della Robbia nell’antica Rocca Contrada: Arcevia scrigno dei gioielli in ceramica invetriata
Giovanni Bosi, Arcevia / Marche
Dici Della Robbia e dici tesori dell’arte in ceramica invetriata, fecondo dialogo tra pittura, scultura e architettura che nel Rinascimento ha visto la famiglia e la bottega dei maestri ceramisti toscani protagonisti nella produzione di opere straordinarie. E le Marche sono la seconda regione, dopo la Toscana, per presenza capillare di manufatti invetriati e dipinti, con Arcevia, l’antica Rocca Contrada, che può considerarsi uno scrigno di gioielli robbiani. Ecco perché.
(TurismoItaliaNews) Venire ad Arcevia è davvero una scoperta, a partire dal suo territorio punteggiato da ben nove castelli, che da soli rappresentano un itinerario assolutamente da percorrere. Ma è il centro storico di questo borgo appollaiato su un contrafforte dell’Appennino che domina il passaggio dalla campagna alla montagna della provincia di Ancona, a consentire un viaggio nella storia e nella tradizione artistica. A partire dalla Collegiata di San Medardo, chiesa-museo insolitamente dedicata al vescovo di San Quintino, vissuto nel sesto secolo, molto venerato in Francia. Nell’imponente edificio con la facciata in cotto a due ordini, rimasta incompiuta, e un armonioso interno a navata unica, sono conservati pezzi unici di grande bellezza. Firmati da nomi altisonanti: Luca Signorelli, Giovanni della Robbia, Marco della Robbia, i maestri intagliatori Leonardo Scaglia e Francesco Giglioni, Ercole Ramazzani 8 allievo di Lorenzo Lotto), Simone Cantarini il Pesarese (allievo di Guido Reni), Cesarino del Roscetto. Insomma un museo a tutti gli effetti.
Giovanni della Robbia e Marco (fra’ Mattia) della Robbia sono gli autori rispettivamente della grande terracotta invetriata raffigurante Madonna con Bambino tra i santi Giovanni Battista e Girolamo, eseguita tra il 1510 e il 1513, e del sottostante Paliotto risalente al 1514-1520 circa. L’altare era collocato in origine nella chiesa dell’eremo di San Girolamo de saxo rubeo, un romitorio fondato nel 1509 ai piedi del monte della Croce da un gruppo di nobili senesi. “Commissionato nel 1510, è stato pagato a Giovanni della Robbia ed è giunto a Rocca Contrada nel 1513, come risulta non solo dalle date apposte sull’altare stesso, ma anche dal Libro dei conti del monastero - ci spiega la nostra guida - la nicchia centrale, coronata dal più robbiano dei festoni policromi, presenta la statua della Madonna col Bambino, detta tradizionalmente “dei miracoli”, opera di grande eleganza ed equilibrio classicheggiante. Ai lati, San Giovanni Battista e San Girolamo riprodotti nella tradizionale iconografia, in modo da costituire un trittico di grande suggestione”. Sopra le nicchie laterali, due medaglioni compongono la scena dell’Annunciazione.
L’altare si trova sopra al paliotto composto da una serie di frammenti invetriati, in cui teste di cherubini e festoni si alternano a candelabre; attribuito a fra’ Mattia per confronti con l’altare dell’Assunto di Montecassiano, è forse ciò che resta di un altare andato perduto. Al centro c’è una ghirlanda, nella quale nel diciannovesimo secolo è stato inserito un tondo di mano e impasto diversi, raffigurante la Madonna col Bambino tra le nuvole attorniata da teste di angioletti.
Altrettanto di grande bellezza è il Crocifisso in terracotta invetriata risalente al 1520 circa, di grandi dimensioni: 2,20 metri per 1,40. “Questa opera viene comunemente attribuita alla mano di fra’ Mattia, che potrebbe averla eseguita direttamente nell’eremo di San Girolamo. Il Crocifisso faceva sicuramente parte di una composizione più articolata, che doveva comprendere perlomeno due figure di santi ai lati del soggetto principale, delle quali non rimane tuttavia traccia” spiega ancora la nostra guida durante la visita alla Collegiata di San Medardo.
Collegiata che accoglie due straordinarie opere del grande artista rinascimentale Luca Signorelli: il Polittico di San Medardo (1507) e il Battesimo di Cristo (1508). E poi ancora gli arredi lignei dei maestri intagliatori Leonardo Scaglia e Francesco Giglioni, che hanno operato qui tra il 1647 e il 1650; le numerose opere di Ercole Ramazzani, tra cui si segnalano il Battesimo di Cristo (1593) e il Giudizio Universale (1597); alcune opere di Claudio Ridolfi il Veronese, discepolo del Barocci (XVII secolo); la Madonna del Rosario con i santi Domenico e Caterina da Siena (1642), uno dei capolavori di Simone Cantarini il Pesarese (1612-1648); una Madonna col Bambino, Sant’Anna, San Giuseppe e San Gioacchino (1529), tavola di Piergentile da Matelica e Venanzio da Camerino; la Croce Processionale in argento del famoso orafo perugino Cesarino del Roscetto (1524-1525).
Ma c’è anche dell’altro da vedere a poca distanza: lungo corso Mazzini c’è una delle più antiche chiese arceviesi, il complesso di San Francesco, la seconda in ordine d’importanza dopo la collegiata di San Medardo. Completamente rifatta in stile barocchetto nel 1750 secondo l’impostazione dell’architetto e plasticatore Lorenzo Bossi, autore peraltro delle otto statue di personaggi storici poste lungo le pareti, la navata è adorna di stucchi con un altare maggiore e sei altari laterali. Da non perdere, a sinistra dell'ingresso è quanto rimane degli affreschi che tra il XII e il XIV secolo rivestivano le pareti interne della chiesa: il pezzo forte è la Madonna con Bambino e angeli di scuola umbro-marchigiana, che la devozione di Arcevia individua come la Vergine del Parto a protezione alle donne partorienti.
Insomma un’Arcevia “nascosta” da amare, fermo restando che questo borgo è anche conosciuto come “la perla dei monti”, compresa nel Parco naturale regionale della Gola della Rossa e Frasassi, da dove si ammirano panorami ineguagliabili tra le terre montane, le colline, il mare Adriatico e i suoi castelli medievali.