[ REPORTAGE ] Queste donne sono Patrimonio dell’Umanità! Ecco le Haenyeo, le sub di Jeju che si tuffano in apnea per pescare

Giovanni Bosi, Jeju / Corea del Sud
Un patrimonio nel patrimonio, un’unicità in un’altra unicità. Loro sono donne straordinarie e vivono sull’Isola vulcanica di Jeju, territorio della Corea del Sud. Il loro armamentario quotidiano, per quello che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio immateriale dell’Umanità, è costituito da una muta, una maschera da sub, pinne, guanti, pesi sul petto per facilitare l’immersione, una zappetta a forma di L e una rete attaccata a un dispositivo di galleggiamento. Ovvero quello che serve per riportare in superficie dall’oceano molluschi come abaloni o ricci di mare. E’ il loro lavoro per sopravvivere: immergersi in profondità, in apnea. Loro sono le Haenyeo e oggi le più anziane hanno oltre 80 anni e si tuffano da più di 66 anni.
(TurismoItaliaNews) Vederle in azione ti stringe il cuore. Per tanti motivi: perché è un lavoro faticoso, impegnativo, poco remuranerativo per loro, perché non sono giovanissime e se poi le vedi scomparire tra i flutti dell’oceano agitato, finisci perfino per temere per la loro incolumità. Ma fanno tutto questo talmente da tanti tempo, che per loro è diventata un’abitudine. Il pericolo è sempre in agguato, ma sembrano non tenerne conto. O non volerne tenere conto.
La cornice è quella di Jeju, l’isola vulcanica della Corea del Sud che è a sua volta un luogo a marchio Unesco come bioparco. Un’isola antichissima, che conserva un patrimonio geologico ed ambientale meraviglioso ed unico, al pari del lavoro di queste donne coraggiose. Riemergono stremate ma non possono fermarsi fino a quando non si completa la cernita di quanto raccolto nella profondità del mare, selezionato, messo in sacchi, pesato e venduto.
Le Haenyeo sono donne iconiche. Le pescatrici di Jeju per vivere si immergono a 10 metri sotto il mare per raccogliere molluschi senza l'aiuto delle maschere di ossigeno. Con la conoscenza dell'oceano e della vita marina, le “donne subacquee” lavorano in questo modo fino a sette ore al giorno, 90 giorni all’anno, trattenendo il respiro per un solo minuto per ogni immersione ed emettendo un suono verbale unico quando riemergono.
Meraviglioso e impressionante vederle all’opera, coraggio e disperazione nel mandare avanti un lavoro di necessità che da secoli si tramanda di generazione in generazione tra donne. Le guardo bene in volto mentre compiono gli stessi movimenti che fanno da decenni: non c’è un’espressione particolare mentre rapidamente preparano il pescato per avviarlo al commercio. E sì, perché di tradizione si parla, pur in presenza di qualcosa che finisce sui piatti gourmet dei gourmand. Eppure quando chiedo loro se posso scattare una foto, a loro volta mi guardano e mi sorridono, e solo per un secondo si fermano, quasi in posa.
Sanno bene che il loro lavoro è conosciuto in tutto il mondo e che quello che compiono quasi come un rito quotidiano è in realtà il retaggio di una tradizione che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Almeno dal 434 d.C a quanto si racconta qui in Corea del Sud. “In origine – ci spiega la nostra guida - la pesca subacquea era una professione esclusivamente maschile, ad eccezione delle donne che lavoravano insieme ai loro mariti. La prima menzione di subacquee nella letteratura non arriva fino al XVII secolo, quando una monografia sulla geografia di Jeju le descrive come jamnyeo, letteralmente “donne subacquee”.
Scopriamo che esiste anche una “gerarchia”, in base al livello di esperienza: hagun, junggun e sanggun, con quest’ultima che si offre come guida alle altre. Prima di un'immersione, si recitano preghiere alla Jamsugut, la dea del mare, per implorare sicurezza e soprattutto una pesca abbondante. “La conoscenza viene tramandata alle generazioni più giovani nelle famiglie, nelle scuole, nelle cooperative di pesca locali che hanno i diritti di pesca della zona, nelle associazioni di haenyeo, nella scuola di Haenyeo e nel museo di Haenyeo” si legge nella motivazione che accompagna l’iscrizione nel Patrimonio immateriale dell’Unesco. Designata dal governo provinciale come rappresentante del carattere dell’isola e dello spirito del popolo, la cultura delle Haenyeo di Jeju ha anche contribuito al progresso della condizione femminile nella comunità e ha promosso la sostenibilità ambientale con i suoi metodi eco-compatibili e il coinvolgimento della comunità nella gestione delle pratiche di pesca.
Tradizionalmente, le ragazze iniziavano ad allenarsi come Haenyeo all’età di 11 anni. Iniziando in acque poco profonde, le giovanissime progredivano raggiungendo profondità più impegnative. Dopo circa sette anni di allenamento, una ragazza era considerata una Haenyeo a pieno titolo. Si arriva qui al porto dove lavorano, dopo aver esplorare l’Isola, perché Jeju è una destinazione irrinunciabile quando si visita la Corea del Sud. E’ l’isola più a sud della penisola coreana, con un clima mite che mantiene l'aria pulita grazie alle brezze di terra e di mare e la temperatura raramente scende sotto lo zero per effetto della calda corrente di Kuroshio.
Ed è corretto usare il termine esplorazione, perché (se il meteo lo consente e non c’è la nebbia) si possono ammirare magnifici paesaggi punteggiati dalle piante alpine del monte Hallasan, ma anche i colorati coralli temperati morbidi sotto il mare. L’isola è il risultato dell’attività vulcanica che si è verificata da circa 2 milioni di anni fa fino ai tempi storici. Lave basaltiche e trachitiche sono presenti ampiamente sull’isola insieme a diverse formazioni vulcaniche, tra cui il monte Hallasan che svetta al centro di Jeju e qualcosa come 360 coni vulcanici sparsi in tutto il territorio. Insomma, un’esperienza che merita di essere vissuta, a partire dal contatto umano con le coraggiose Haenyeo.
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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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