Papa per 33 giorni: Albino Luciani diventa Beato, viaggio a Canale d’Agordo sulle tracce del Pontefice umile, colto e con una coscienza ecologica

Giovanni Bosi, Canale d’Agordo / Veneto
Giovanni Paolo I, il Papa per soli 33 giorni. Ma per tutti è ancora semplicemente Albino Luciani, soprattutto tra le montagne del Bellunese dove è nato e cresciuto, dove la sua personalità umile si è forgiata, dove il suo imprevedibile cammino verso il soglio di San Pietro si è arricchito di grande personalità. Perché sarebbe oltremodo riduttivo affidarlo alla storia semplicemente come “il Papa del sorriso”. Le pagine più straordinarie della sua vita sono quelle “scritte” ben prima dell’arrivo in Vaticano, quando temi come lavoro, giustizia sociale e ambiente erano per lui all’ordine del giorno. Siamo andati a Canale d’Agordo sulle sue tracce. E quelle della sua famiglia.
(TurismoItaliaNews) Probabilmente Canale d’Agordo in pochi lo conoscevano al di fuori del Veneto prima della sua elezione a Papa. Un villaggio montano a poco meno di 1.000 metri di quota, dove la quotidianità è sempre scorsa via tra mille sacrifici e con la tempra che ha la gente montanara: resiliente e generosa, con un’economia portante che almeno fino a trent'anni fa era agricolo-pastorale e legata all’emigrazione come effetto dell’isolamento del territorio. Ma per assurdo a dare la consacrazione a questo paesino della Val del Biois, abitato da un migliaio di anime e che fino al 1964 si chiamava Forno di Canale, è stato Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, il Papa polacco, nel momento in cui all’indomani della sua elezione ha voluto come primo atto recarsi proprio nel villaggio montano in cui era nato il suo predecessore e che da Pontefice non aveva fatto in tempo a ritornarvi.
Oggi a Canale d’Agordo tutto parla di Albino Luciani: la piazza principale un tempo dedicata alla Pieve è oggi intitolata a lui; la casa natìa è stata acquistata dalla Diocesi di Vittorio Veneto grazie a un benefattore; accanto alla chiesa arcipretale è sorto il MusAl, il Museo Albino Luciani; una Via Crucis lo ricorda… Ma quassù parlano tutti di Albino Luciani e non tanto di Giovanni Paolo I, per la gente il Papa chiamato a Roma è semplicemente l’Albino conosciuto prima come sacerdote, poi come Vescovo, quindi come Patriarca di Venezia, infine come successore di Pietro. Ma pur sempre il caro Albino.
Canale d’Agordo è un luogo ameno. Il sole in Piazza Luciani fa scintillare l’acqua sulla bella fontana in pietra antistante la chiesa, dietro la quale c’è nientemeno che la prima birreria d’Italia, fondata nel 1847 da Giovanni Battista Zannini durante il dominio asburgico e acquistata a fine Ottocento dai tre fratelli Luciani, fondatori della Birra Pedavena. Circondato da vette dolomitiche quali Civetta, Pelmo, Cima Pape, Sass Negher, Pale di San Martino, Cimon della Pala, Cime d’Uta e più in lontananza dalla Marmolada, è facile intuire perché Albino Luciani amasse tornare qui, nella casa natìa, appena possibile.
“Il silenzio è una dimensione fondamentale della montagna – ci dice Loris Serafini, direttore della Fondazione Papa Luciani di Canale d’Agordo, riferendosi al silenzio dei monti che parla al cuore - in passato la montagna era per i montanari che l’abitavano una madre severa che faceva guadagnare duramente ai propri figli la sopravvivenza grazie alle loro fatiche e al loro sudore”. Così fu anche per il futuro Papa Albino Luciani, per il quale la montagna, oltre che il principale mezzo di sopravvivenza, fu anche fonte di ispirazione e di spiritualità: “Grazie al silenzio che vi regna – sottolinea Serafini – Luciani poté trovare ristoro nella preghiera e coltivare la propria vocazione. Nel corso della vita, il suo rapporto con la montagna si trasformò, fino a sublimarsi in una occasione unica per incontrare Dio nell’intimo, grazie all’essenzialità e al silenzio”. Così si ricorda il cardinale Luciani, fattosi di nuovo pellegrino, come quando era bambino, nel santuario montano di Pietralba/Weissenstein, dove trascorse parte dell’estate per ritrovare il suo rapporto con Dio e la Madonna, e dove avrebbe passato l’estate del 1978, se non fosse stato eletto Papa.
L’occasione per parlare con accenti diversi di Giovanni Paolo I, anche inquadrandolo nella tematica ambientale, è stato il Forum 2022 che l’associazione Greeaccord Onlus ha voluto tenere proprio a due passi da Canale d’Agordo, in quel Centro Luciani creato a Santa Giustina proprio per ricordare il Papa montanaro. Non c’è dubbio che l’essere nato quassù ha giocato un ruolo fondamentale nella vita di Albino, al pari della sua famiglia: il padre Giovanni (1872-1952) è stato un infaticabile lavoratore, emigrante e sensibile alle problematiche delle persone che faticavano di brutto. Si era iscritto al Partito Socialista Tedesco, era fortemente avverso ai fascisti, raccomandava ai figli di non perdere tempo con le loro chiacchiare. Durante un’esperienza di lavoro perse un carissimo amico, di nome Albino, ripromettendosi che alla nascita del suo primo figlio maschio gli avrebbe dato questo nome. La madre Bortola Tancon (1879-1948) era quel che si dice una pia donna, attenta ed esigente nell’educazione dei figli. Così visitare la loro casa diventa un emozionante viaggio immersivo nella loro intimità. “Quando pernottava qui, utilizzava il terrazzo della stanza per ritirarsi a pregare il breviario, guardando verso la sua amata Valle di Gares” ci spiegano durante la nostra visita. Ed è facile immaginare il piccolo Albino che correva su e giù per quelle scale di casa con la velocità e la vivacità che solo i bambini possiedono...
“Questo Papa ha sempre cercato nella vita di ricreare il senso identitario e di comunità, di famiglia, in tutti i luoghi dove è stato. La riconciliazione per Luciani era andare a Pietralba e rientrare in contatto con la natura anche senza parlarne in modo lirico o esplicito”: a sottolinearlo è la scrittrice Patrizia Luciani, omonima del Pontefice, autrice del libro “Un prete di montagna. Gli anni bellunesi di Albino Luciani (1912 – 1958)” e che abbiamo incontrato a Santa Giustina. Gli interventi del futuro Giovanni Paolo I evidenziano una coscienza ecologica e un’attenzione verso le idee nuove, seppure nel rispetto delle dottrine e dell’istituzione.
La consuetudine con l’ambiente naturale e l’evoluzione che sente necessarie per la giustizia sociale, assomigliando in questo a Bergoglio, delineano questo Papa come un precursore delle teorie in cui le scorie dell’economia ad alto consumo compromettono anche le risorse destinate alla vita equilibrata degli uomini in una società equa: “Quattro sono le condizioni che Albino Luciani descrive come necessarie per una coscienza ecologica autentica: innanzitutto il bene della persona umana è lo scopo della produzione, e questo non si può ritorcere sulla persona stessa; inoltre il Cristianesimo insegna l’uso moderato dei beni e non lo spreco, la sobrietà. L’uomo, comunque, è inseparabile dall’ambiente naturale e le risorse del mondo non sono illimitate” sottolinea Patrizia Luciani. Sono indiscutibili le molte somiglianze con papa Francesco e soprattutto sulla sensibilità ecologica c’è questa comune lettura che la scrittrice e docente di lettere ha rielaborato nella sua pubblicazione grazie anche a una parte della sua tesi di dottorato sull’episcopato veneziano di Albino Luciani, svolta all’Università Cattolica di Milano.
Il percorso a Canale d’Agordo trova un’irrinunciabile tappa al MusAl, il cui allestimento multimediale e ricco di documenti, fotografie e oggetti personali, parla in modo semplice e puntuale del Papa dei 33 giorni. Fin dal momento della sua elezione, avvenuta il 26 agosto 1978, in paese era stata subito avvertita l’esigenza di erigere un museo a lui dedicato, ma senza un edificio disponibile. Esigenza divenuta poi pressante con la sua prematura scomparsa. Ora questo Museo è il posto giusto per conoscere la vita e l’insegnamento di Papa Giovanni Paolo I, scoprire il contesto storico-ambientale dove è cresciuto e le vicende di altre personalità che si sono distinte in campo artistico, culturale e religioso. Si sviluppa su 4 piani accuratamente allestiti in un palazzo quattrocentesco per creare un percorso sensoriale innovativo, ed è gestito dalla Fondazione Papa Luciani Onlus.
La cronaca. “La mattina alle 5.30 di venerdì 29 settembre 1978, giorno della festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, suor Vincenza Taffarel bussa alla porta della camera del Pontefice dopo aver visto il caffè raffreddato nell’anticamera. Entra e trova il Papa a letto, con gli occhiali, che tiene in mano un foglio di appunti personali; la testa reclinata verso la porta, la lampada accesa. Il corpo è immobile e quasi freddo. Suo Vincenza, agitatissima, corre a chiamare il segretario personale monsignor John Magee, che avverte il medico e il segretario di Stato cardinal Jean-Marie Villot. La notizia viene diffusa dai radiogiornali di tutto il mondo alle 7,00, con alcune imprecisioni, ossia che il Papa sarebbe stato rinvenuto dal segretario personale e che in mano avrebbe tenuto “L’imitazione di Cristo”, un libro mistico medievale, notizie che poi si rivelano errate. A Canale d’Agordo la notizia arriverà al parroco don Rinaldo Andrich tramite la nipote del Papa Pia Luciani; il sacerdote, che stava celebrando la messa mattutina, darà la notizia ai parrocchiani con immensa tristezza. Viene stilato l’atto di morte dal dottor Buzzonetti secondo cui il Santo Padre sarebbe morto “per infarto miocardico acuto”. Sul corpo del Papa non viene eseguita l’autopsia, bensì un semplice esame medico. La causa della morte potrebbe essere tuttavia di natura trombotica, avendo avuto un precedente nel viaggio di ritorno dal Brasile nell’autunno 1975, quando il medico gli riscontrò un fenomeno trombotico arrestatosi in un occhio. “Circa le cause della morte si sono sviluppate le più disparate teorie, la cui esposizione è facilmente accessibile a tutti. In questa sede – è l’invito espresso rivolto ai visitatori del museo - vorremmo chiedere ai pellegrini ed ospiti di concentrarsi maggiormente sul messaggio lasciato dall’amatissimo Papa, più che non sulle circostanze della sua morte, in quanto queste ultime rischiano di adombrare la grande eredità spirituale lasciata da Albino Luciani, Papa per 33 giorni, ma il cui pontificato ha un valore inversamente proporzionale alla sua durata”.
I funerali di papa Giovanni Paolo I avvennero il 4 ottobre 1978, giorno di San Francesco d’Assisi e furono celebrati dal Decano del Sacro Collegio, il cardinal Carlo Confalonieri, che pronunciò una commossa omelia. Il suo corpo, deposto in un triplice cassa, fu inumato nelle Grotte Vaticane, di fronte alla tomba di papa Marcello II, Marcello Cervini, che fu papa rinnovatore nel 1555 per soli 22 giorni) e vicino, allora, a quelle di Giovanni XXIII e Paolo VI. La lapide che copre la tomba riporta due pregevoli angeli del XV secolo, con la semplice iscrizione “Ioannes Paulus PP I”.
E’ come se fosse ancora qui. Ma è come se lui fosse ancora qui, nella sua Canale d’Agordo, tra quelle montagne che ammirava mentre pregava, il Creato più bello. “Papa Luciani adorava le sue montagne e le conosceva perfettamente, amava molto camminare, conosceva flora e fauna e il beneficio della vacanza e del riposo a contatto con la natura. Direi che Albino Luciani, nella sua semplicità, viveva senza saperlo e in modo naturale lo spirito della Laudato si’, e avvertiva l’esigenza della profondità dell’essere in sintonia ed in armonia con il creato” annota Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord Onlus. “Le montagne, specificatamente le Dolomiti, costituiscono uno scenario di vita formidabile, in cui Giovanni Paolo I ha continuato ad attingere e a comprendere se stesso e gli eventi della storia, quella che più direttamente egli ha vissuto, ma anche la grande storia – chiosa monsignor Renato Marangoni, Vescovo di Belluno-Feltre - dal piccolo e dal particolare Albino Luciani è sempre risalito, con un percorso originalissimo e acculturato, al grande e all’universale”.
Un viaggio in questo villaggio incuneato tra le Dolomiti Bellunesi significa dunque riscoprire l’essenza più autentica di questo Pontefice, la cui storia più bella è forse quella di uomo della montagna: semplice, umile, colto ma al contempo risoluto e tenace. Non solo semplicemente “il Papa del sorriso”.
Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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